neurofarmacologìa Disciplina che studia la struttura chimica e gli effetti delle cosiddette 'sostanze psicoattive', ovvero di quelle molecole in grado di influenzare i meccanismi di funzionamento del cervello e, quindi, la mente e il comportamento.
Abstract di approfondimento da Neurofarmacologia di Leslie L. Iversen (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
Droghe o ‘sostanze d’abuso’
Una droga o ‘sostanza d’abuso’ è una molecola i cui effetti sono talmente gratificanti da facilitarne l’uso eccessivo in termini sia di quantità sia di frequenza di assunzione, a dispetto di effetti collaterali spesso gravi. L’alcol è la più antica e diffusa di tutte le droghe. Nella maggior parte dei Paesi occidentali, più dell’80% della popolazione adulta ammette di averlo provato e circa il 50% ne fa un uso regolare. Non si sa esattamente in che modo l’acol agisca a livello cerebrale, producendo inizialmente uno stato di eccitazione e successivamente uno di sedazione. è noto tuttavia che esso stimola l’azione del GABA, il principale neurotrasmettitore inibitorio, e blocca parzialmente quella del glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio. Inoltre, la piacevolezza degli effetti dell’alcol sembra essere dovuta in parte alla sua capacità di stimolare i meccanismi cerebrali degli oppiacei – gli stessi che sono stimolati più direttamente e violentemente dall’eroina.
La nicotina è la droga presente nel tabacco e la sostanza responsabile della sua gradevolezza, la quale, secondo i fumatori, consiste nella facilitazione della concentrazione e nella sedazione dell’ansia. Nel cervello la nicotina agisce sui recettori dell’acetilcolina, le cui vie nervose hanno, tra le altre, la funzione di agire come un sistema di allerta o di attivazione fisiologica (detta arousal) degli emisferi cerebrali. Il tabagismo è pericoloso a causa delle molte sostanze chimiche che sono presenti nel fumo e che vengono rapidamente assorbite dal sangue attraverso i polmoni: nei Paesi sviluppati sono ascrivibili a esso quasi il 25% dei decessi nella popolazione maschile e il 17% in quella femminile. Il motivo per cui molte persone continuano a fumare nonostante i rischi ben noti è che diventano rapidamente dipendenti dalla nicotina, la quale, benché le industrie del tabacco lo abbiano finora strenuamente negato, costituisce una potente droga in grado di dare assuefazione. Il trattamento più efficace per chi cerca di smettere consiste nella somministrazione di nicotina per vie alternative, quali le gomme da masticare, i cerotti da applicare sulla pelle o gli spray nasali. Anche con questi ausili, tuttavia, circa l’80% dei fumatori che cercano di smettere ricade nell’abitudine entro sei mesi; senza di essi, la percentuale è del 90%.
La caffeina è la sostanza debolmente stimolante che si trova in bevande come caffè, tè e alcune bibite analcoliche, ed è una delle droghe più largamente e frequentemente consumate al mondo. A livello mondiale si stima che se ne assumano circa 70 mg per persona al giorno; una tazza di tè contiene in media circa la metà di questa dose, e una Coca-Cola ne fornisce circa 50 mg. Numerosi studi effettuati su soggetti umani confermano che la caffeina aumenta significativamente la prontezza mentale e diminuisce l’affaticamento; in particolare, essa migliora le prestazioni in compiti che, sebbene di facile esecuzione, richiedono il mantenimento di un’attenzione costante nel tempo, e il suo effetto è più pronunciato nei casi in cui l’attenzione è ridotta in seguito a stanchezza. A livello sinaptico, questa droga agisce come antagonista del recettore dell’adenosina, la quale è a sua volta implicata nella regolazione del rilascio di svariati altri messaggeri chimici. L’effetto stimolante della caffeina può essere ricondotto al fatto che essa, bloccando la normale azione frenante dell’adenosina, promuove un incremento del rilascio di acetilcolina e dopammina, entrambe dotate di un effetto stimolante delle funzioni cerebrali.
La Cannabis (chiamata anche ‘marijuana’) è la sostanza d’abuso più largamente utilizzata. Nella maggior parte dei Paesi occidentali, non meno del 40% delle persone tra i 15 e i 50 anni ammette di averla provata almeno una volta e una percentuale tra il 10 e il 15% ne fa uso regolarmente. La definizione di ‘uso regolare’, tuttavia, copre un ambito molto ampio, che va da coloro che la assumono ogni giorno a coloro che se la concedono una volta al mese o anche meno. Il termine marijuana designa le foglie e i fiori essiccati di diverse varietà della specie Cannabis sativa, il cui principio attivo più importante è il d-9-tetraidrocannabinolo (THC). Quando la marijuana viene fumata il THC arriva rapidamente al cervello. Esso viene assunto anche per bocca, ma si tratta di una via meno affidabile: l’assorbimento è lento (sono necessarie almeno 344 ore per raggiungere il picco di concentrazione nel sangue) e il consumatore non può esercitare alcun controllo sulla quantità assunta, rischiando dunque una overdose o, al contrario, di fermarsi a livelli inferiori alla dose efficace. Gli effetti acuti della Cannabis non sono diversi da quelli dell’alcol: coloro che ne fanno uso provano sollievo dall’ansia e spesso ridono senza controllo. Un effetto caratteristico consiste nella distorsione del senso del tempo, per cui un minuto sembra facilmente molto più lungo di quello che è. A dosi elevate la cannabis può indurre deliri, allucinazioni o altri disturbi del pensiero. La scoperta più importante per quanto concerne il suo meccanismo d’azione è stata quella di uno specifico recettore in grado di riconoscere il THC. Benché questa sostanza chimica sia presente soltanto nella pianta, i neuroni possiedono il recettore specifico in quanto il cervello contiene e rilascia propri neurotrasmettitori che sono simili al principio attivo della Cannabis e che attivano quel recettore in condizioni normali. Uno di essi è per esempio l’anandammide, la cui etimologia in sanscrito significa ‘estasi’. Non è chiaro quale sia la normale funzione fisiologica di questo cannabinoide, ma i risultati degli studi indicano che potrebbe avere un ruolo importante nella modulazione della sensibilità al dolore.
L’anfetamina è stata una delle prime droghe di uso voluttuario a essere prodotta artificialmente. Fu immessa sul mercato inizialmente nel 1920 come decongestionante nasale (benzedrina), ma venne utilizzata anche in medicina per il trattamento dell’asma e come sostanza anoressizzante per combattere l’obesità. Si tratta tuttavia di un potente stimolante, e i pesanti effetti collaterali che provoca hanno finito per limitarne l’utilità clinica. L’abuso di anfetamina produce sintomi che ricordano un episodio acuto di schizofrenia, anche se, fortunatamente, essi risultano reversibili quando l’uso viene interrotto. Non a caso, questa sostanza agisce nel cervello aumentando in modo anormale la velocità di rilascio della dopammina. I pazienti con il morbo di Parkinson che ricevono un iperdosaggio di L-DOPA possono sperimentare effetti collaterali di tipo psicotico, anch’essi dovuti a un eccesso di tale neurotrasmettitore. Il verificarsi delle ‘psicosi da anfetamina’ nei tossicodipendenti ha contribuito a puntare l’attenzione sulla dopammina come fattore chiave per comprendere la schizofrenia e per scoprire che l’efficacia dei farmaci antischizofrenici è basata proprio sul blocco della sua azione. Paradossalmente, l’anfetamina e altre sostanze simili a essa, come il metilfenidato, sono risultate utili per il trattamento del Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (DDAI). I bambini che ne sono affetti si muovono in continuazione e non riescono a dedicarsi a nulla se non per brevi periodi di tempo; di conseguenza, essi incontrano difficoltà a scuola e le loro prestazioni risultano mediocri anche in seguito, all’università. Benché non vi siano dubbi sul fatto che l’anfetamina e il metilfenidato migliorino le capacità di concentrazione e di apprendimento di alcuni bambini, è attualmente in corso un acceso dibattito sul fatto che queste molecole possano essere prescritte con troppa facilità.
L’LSD (dietilammide dell’acido lisergico) è una sostanza d’abuso molto potente e popolare. Nel cervello, essa influisce pesantemente sull’attività di particolari recettori serotoninergici, provocando gravi distorsioni percettive e allucinazioni. Le prove che il suo uso continuativo produca dipendenza sono limitate, ma possono verificarsi degli effetti negativi. Non tutte le esperienze con l’LSD sono piacevoli e un’assunzione in condizioni non favorevoli può diventare assai sgradevole e terrorizzante.
L’eroina, pur essendo un derivato chimico sintetico della morfina, è più potente del suo precursore, perché passa più rapidamente dal circolo sanguigno nel cervello, dove attiva i recettori degli oppiacei. Gli eroinomani descrivono come fortemente piacevole lo stato di intensa euforia che segue l’iniezione endovenosa e ciò rende altamente probabile che il consumatore sviluppi una dipendenza fisica. L’astinenza da eroina corrisponde a sensazioni notevolmente sgradevoli ed è potenzialmente pericolosa per la vita stessa. Alla sintomatologia fisica – costituita da diarrea, crampi dolorosi allo stomaco, cefalea, nausea, vomito e convulsioni – si accompagna il desiderio spasmodico di assumere una nuova dose. Il trattamento della dipendenza si avvale di solito della somministrazione di un oppiaceo sostitutivo, il metadone, che si assume per bocca, viene assorbito lentamente e ha effetti duraturi nel tempo. Esso aiuta a far cessare l’intenso desiderio di eroina senza tuttavia offrire la corrispondente sensazione euforizzante. Sebbene l’uso clinico del metadone abbia dato alcuni buoni risultati, rimane un arduo compito quello di convincere gli eroinomani a smettere di drogarsi. Per scoraggiare le ricadute si è dimostrato di una certa utilità il naltrexone, che impedisce agli effetti piacevoli della droga di verificarsi.
Analogamente alla morfina, la cocaina è un composto che si ottiene da una pianta, la coca, un arbusto che cresce sulle Ande. Masticare foglie di coca è da secoli una radicata abitudine delle culture sudamericane: le foglie contengono una modesta quantità di principio attivo, inducono una sensazione di benessere, riducono la fame e aumentano la resistenza in ambienti spesso difficili. I cocainomani occidentali, invece, assumono questa droga in una forma pura e assai più potente: la aspirano di solito con il naso sotto forma di polvere bianca, e questa modalità di assunzione ne facilita il rapido assorbimento da parte del circolo sanguigno. Coloro che hanno sperimentato l’euforia da cocaina la descrivono come il più intenso di tutti i piaceri indotti da una droga. Essa è spesso seguita, tuttavia, da una profonda depressione del tono dell’umore e da un persistente desiderio di assumere un’altra dose per superare questo stato d’animo. Il tossicodipendente può perdere ogni altra motivazione che non sia quella di procurarsi la droga e per ottenerla può arrivare a commettere gravi reati. Nel cervello, la cocaina agisce provocando un aumento sia di serotonina che di dopammina, in quanto inibisce i trasportatori che sono responsabili della ricaptazione di questi messaggeri chimici. Tale azione farmacologica combinata produce l’effetto stimolante e di attivazione cerebrale tipico dell’anfetamina insieme all’elevazione del tono dell’umore tipico degli antidepressivi.