Dispositivo in grado di rilevare una grandezza, interagendo con essa, ricevendone energia e modificando il proprio stato, cioè variando una sua proprietà (la sua lunghezza, la sua resistenza elettrica ecc.).
Il termine s. è spesso usato in luogo di trasduttore, che, a rigore, è un dispositivo che converte una grandezza di una certa natura in una grandezza di natura diversa. Tenuto conto che all’interazione con una grandezza è associata generalmente la conversione della stessa, si può definire s. un dispositivo che acquisisce in ingresso e fornisce in uscita una grandezza di natura diversa legata alla prima da una precisa legge; la grandezza in uscita, detta anche segnale (➔), opportunamente elaborata viene inviata a un sistema di misura o a un sistema di controllo automatico.
I s. possono essere classificati in varie maniere. A seconda della grandezza acquisita, possono aversi s. di grandezze chimiche, s. di grandezze fisiche, s. di immagine. A seconda della natura della grandezza fornita, possono aversi s. meccanici, s. acustici, s. ottici, s. elettrici; le grandezze in uscita dai s. elettrici, tensioni e correnti, si prestano, più facilmente di altre grandezze, a essere elaborate; per tale ragione s. primari non elettrici sono spesso accoppiati a s. secondari elettrici. A seconda del tipo di segnale fornito si hanno s. analogici e s. digitali. Si parla infine di s. di soglia per quei s. utilizzati semplicemente per segnalare un determinato valore della grandezza acquisita.
A partire dagli ultimi anni del 20° sec., l’evoluzione nel campo dei s. è stata estremamente rapida e ha riguardato sia la tipologia di grandezze fisiche o chimiche da rilevare sia la sensibilità e la rapidità con cui la rilevazione può essere effettuata; grazie alle tecniche di miniaturizzazione, in taluni casi simili a quelle sviluppate nell’ambito dei circuiti integrati, i s. sono stati realizzati in forma sempre più compatta. Le grandezze rilevate dai s. sono generalmente convertite in segnali elettrici di tipo analogico che vengono a loro volta inviati, oltre che a strumenti terminali più tradizionali (multimetri, oscilloscopi ecc.), a sistemi di acquisizione di dati; questi ultimi, dopo un procedimento di conversione analogico/digitale, sono in grado di elaborare le grandezze stesse. In tali sistemi, una parte dell’elaborazione è dedicata al miglioramento della risposta globale del s., ovvero al miglioramento della stima della grandezza fisica rispetto alla grandezza di uscita del s. stesso: nel rilevare una grandezza, si possono infatti produrre distorsioni e sovrapporre segnali non desiderati (rumore) al segnale utile; tali inconvenienti possono essere a volte corretti operando, sul segnale d’uscita dal sistema, un’opportuna elaborazione il cui scopo è quello di attenuare gli effetti indesiderati.
Tra le applicazioni dei s. rientrano, oltre ai sistemi di misura e di controllo, i dispositivi ‘intelligenti’, la robotica, la bioingegneria.
L’interesse applicativo dei s. di grandezze chimiche ha portato alla crescita commerciale ed economica del settore e ha stimolato, soprattutto a partire dai primi anni 1990, gli sforzi della ricerca scientifica finalizzati allo sviluppo di nuovi materiali e di nuove metodiche, con lo scopo ultimo di sviluppare s. e biosensori con sempre migliori caratteristiche di accuratezza, sensibilità, riproducibilità, selettività, prontezza, miniaturizzazione, stabilità ed economicità. I s. sono costituiti da elettrodi (detti anche elettrodi s.) o da sonde in grado di rilevare la natura e la concentrazione di una determinata specie chimica contenuta in sistemi di vario tipo (atmosfere gassose, soluzioni acquose, fasi organiche ecc.).
Tipi di sensori. Elemento comune a tutti i s. di grandezze chimiche è la presenza di una membrana costituita da un materiale che risulta sensibile, mediante interazioni di svariata natura, alla specie da analizzare. A seconda dello stato fisico della membrana possono aversi s. a membrana solida o a membrana liquida; nel secondo caso, la membrana è incapsulata in appositi supporti inerti.
Un’ampia classe di s. è rappresentata dagli elettrodi a membrana di tipo ionoselettivo, basati su processi di trasporto e scambio ionico, che determinano la comparsa di potenziali di membrana correlati, mediante l’equazione di Nernst, all’attività (e quindi alla concentrazione) di una certa specie. Tra di essi hanno assunto grande importanza i s. a membrana sensibilizzata, ottenuti sovrapponendo un sottile strato di materiale sopra un classico elettrodo a membrana; in tal modo l’elettrodo stesso diviene sensibile, indirettamente, verso una nuova specie chimica. In elettrodi ionoselettivi a membrana liquida e solida per specie quali Na+, Ag+, Ca2+ ecc. sono utilizzati come elementi sensibili i calixareni e i loro derivati che grazie alla loro peculiare struttura possono complessare selettivamente i cationi metallici. In combinazione con opportune sostanze coloranti (coimmobilizzate sulla membrana o legate chimicamente al calixarene), i calixareni possono anche essere usati in s. ionoselettivi a trasduzione ottica.
Oltre a questi s. tradizionali, di notevole interesse e grandi potenzialità sono quelli che utilizzano sistemi di semiconduttori a base di silicio (MOSFET ecc.), congiuntamente a una membrana specifica per il composto da analizzare. Per es., è possibile costruire un s. per l’idrogeno gassoso ricoprendo il gate di un transistore MOS con un film sottile di palladio, metallo che mostra eccezionale affinità verso l’idrogeno; una volta immesso tale sistema nell’ambiente di misura, l’interazione tra palladio e idrogeno fa nascere all’interfaccia palladio-ossido di silicio un dipolo elettrico, che controlla la corrente di canale del MOS. In questo modo la tensione di uscita dal drain è correlata all’idrogeno adsorbito sul metallo, e quindi alla concentrazione di idrogeno nell’atmosfera. È anche possibile accoppiare congegni semiconduttori con le normali membrane ioniche (si ottengono i s. detti INSFET, ionic selective field effect transistor), o con quelle sensibilizzate a enzima (ENFET, enzyme field effect transistor).
Di più recente sviluppo sono i s. a fibra ottica, che possono essere di tipo intrinseco o estrinseco. Nei s. intrinseci vengono misurate direttamente le proprietà ottiche dell’analita, in quelli estrinseci vengono invece rilevate le proprietà ottiche di un’altra sostanza (per es., un colorante). Uno dei vantaggi offerti dalle fibre ottiche è quello di consentire una notevole miniaturizzazione del s., così da poter realizzare sonde a fibra ottica con dimensione lineare fino a poche decine di nanometri (nanosensori). I nanosensori permettono, tra l’altro, di effettuare misurazioni non invasive all’interno di singole cellule, di rilevante interesse per la comprensione accurata dei processi biochimici che vi hanno luogo e per applicazioni diagnostiche e cliniche. Così, per es., sono stati realizzati nanosensori di pH immobilizzando un’opportuna sostanza colorante sull’estremità di una fibra ottica di diametro pari a 100 nm.
Selettività e varietà chimica. Nella maggior parte dei casi, una caratteristica fondamentale che si richiede a un s. è la capacità di riconoscere la specie chimica di cui si vuole determinare la concentrazione, legandosi a essa in modo altamente selettivo, in modo da limitare le possibili interferenze derivanti dalle altre specie (anche centinaia) che possono essere presenti nel campione sottoposto all’analisi. Questo scopo viene raggiunto grazie alla selettività chimica dell’elemento sensibile (che si lega di preferenza solamente con la specie in questione) o del processo chimico-fisico di trasduzione (come negli elettrodi ionoselettivi basati sullo scambio ionico).
Tale approccio ‘classico’, indispensabile ogni volta si debba determinare la concentrazione di una determinata specie in una miscela, non è invece idoneo all’analisi di miscele a molti componenti di cui interessi conoscere il pattern composizionale complessivo (cioè la natura e la concentrazione di ciascuna delle specie in quel dato ambiente). Questo è ciò che si verifica in particolare nei casi in cui l’analisi sia finalizzata al riconoscimento di una caratteristica del campione determinata cooperativamente dall’intero pattern composizionale. Esempio tipico è l’odore di una data miscela. Per questo tipo di applicazioni si è sviluppato un approccio alternativo, basato sull’impiego di sistemi costituiti da vari s., ciascuno dei quali sensibile a un certo numero di sostanze o famiglie di sostanze e tali da fornire, nell’insieme, un segnale correlabile all’intero pattern composizionale. Poiché questi s. puntano a riprodurre il funzionamento dei sistemi olfattivi biologici, essi sono spesso indicati come nasi artificiali (➔ naso). In questo approccio viene abbandonata la ricerca della massima selettività di un s. e si punta piuttosto a raggiungere la maggiore varietà chimica possibile nella sensibilità alle sostanze, in modo da coprire l’insieme più ampio possibile di specie chimiche potenzialmente presenti nel campione.
Biosensori. I biosensori possono essere classificati in base alla natura dell’elemento sensibile, che può essere una molecola o macromolecola (un enzima, un anticorpo, un acido nucleico, un doppio strato lipidico), una cellula intera o un tessuto. Tra i s. del primo tipo, i più diffusi sono quelli a enzima e quelli ad anticorpo (immunosensori). I s. a enzima sono stati i primi biosensori a essere sviluppati (1975) e sono i più diffusi. Tra gli enzimi maggiormente impiegati vi sono le ossidoriduttasi, soprattutto le ossidasi e le deidrogenasi. Dal punto di vista commerciale, i biosensori di questo tipo che hanno raggiunto ampia diffusione sono, primi fra tutti, quelli per la determinazione del glucosio (impiegati nella diagnostica e nel trattamento del diabete, nell’analisi degli alimenti, in applicazioni biotecnologiche), e poi quelli per la rilevazione dell’acido lattico (medicina dello sport, analisi degli alimenti), dell’urea (analisi cliniche), del glutammato e della glutammina (analisi degli alimenti).
Successivo è stato l’interesse per i s. basati su cellule intere o tessuti. Questi s. hanno il vantaggio di fornire dati interessanti di tipo fisiologico e di misurare la biodisponibilità dell’analita. Di notevole interesse sono anche i biosensori per applicazioni in vivo. Tra i sistemi più studiati, vi sono s. impiantabili sotto cute per il monitoraggio continuo del glucosio, utili in soggetti diabetici e ipoglicemici. Oltre ai requisiti di sensibilità, selettività, stabilità e prontezza, s. di questo tipo devono ovviamente essere non invasivi.
I s. possono essere classificati in base alla grandezza rilevata (s. di spostamento, s. di pressione, s. di temperatura ecc.), oppure in base al principio di funzionamento: in questo secondo caso si parla, in particolare, di s. meccanici e di s. elettrici a seconda della grandezza di uscita.
S. meccanici. I s. meccanici funzionano per contatto (s. di spostamento utilizzanti leveraggi, ingranaggi, calibri, palmer, comparatori), per deformazione di un elemento elastico (s. di pressione in fig. 1; s. di forza utilizzanti molle, membrane ecc.), per la presenza di un elemento dotato di massa (s. di accelerazione), per la presenza di un elemento in grado di dilatarsi (s. di temperatura a bulbo, a lamina bimetallica), per restringimento di una vena fluida (s. di velocità quali i tubi di Pitot, s. di portata quali venturimetri, diaframmi, boccagli).
S. elettrici. I s. elettrici sono di tipo attivo o di tipo passivo; i s. elettrici attivi mettono a disposizione una forza elettromotrice utilizzando particolari effetti fisici: ne sono esempi i s. piezoelettrici (accelerometri, manometri ecc.), i s. termoelettrici (termometri a termocoppia), i s. a induzione elettromagnetica (s. di velocità), i s. fotoelettrici. I s. elettrici passivi mettono a disposizione una variazione di resistenza, di induttanza, o di capacità. Fra i s. resistivi figurano i dispositivi potenziometrici per rilevare spostamenti lineari o angolari, gli estensimetri elettrici a resistenza (➔ estensimetro) per misure di deformazione, i termometri a resistenza, gli anemometri a filo caldo. Fra i s. induttivi, i s. di prossimità, piccole bobine la cui induttanza varia in funzione della distanza da un materiale ferromagnetico, i dispositivi a trasformatore differenziale (LVDT, linear variable differential transformer) ecc. S. capacitivi sono utilizzati, per es., per realizzare s. di livello in base alla diversa rigidità dielettrica di mezzi diversi.
Per convertire le variazioni di resistenza, di induttanza o di capacità in tensioni si utilizzano circuiti a ponte di Wheatstone (alimentati in continua o in alternata nel caso di s. resistivi, necessariamente in alternata negli altri casi), oppure circuiti voltamperometrici.
Per ottenere uscite elettriche da s. meccanici si può accoppiare a un s. primario un s. secondario: così, per es., a un s. di pressione a membrana possono essere applicati estensimetri elettrici a resistenza, a un s. di spostamento a contatto può essere collegato un s. induttivo a trasformatore differenziale come nei rugosimetri.
S. a fibra ottica. Devono il loro affermarsi principalmente alla insensibilità alle radiazioni elettromagnetiche. A seconda del principio di funzionamento possono essere classificati in s. di intensità, nei quali viene modulata l’intensità della luce che percorre le fibre, e in s. di fase, nei quali un fascio di misura, convogliato nella fibra, e un fascio di riferimento, ottenuto per divisione dello stesso fascio, vengono fatti interferire. A seconda dell’utilizzazione della fibra ottica, i s. vengono inoltre classificati in s. intrinseci, nei quali la fibra ottica ‘sente’ la grandezza da rilevare, e in s. estrinseci, nei quali la fibra ottica funziona da veicolo per l’informazione da rilevare e trasmettere.
Un s. di spostamento, per es., può essere realizzato mediante un s. d’intensità di tipo estrinseco, utilizzando un fascio di fibre multimodo, parte trasmittenti e parte riceventi, in cui la luce emessa dalle fibre trasmittenti viene riflessa da una superficie-riferimento; se l’estremità del s. è a contatto con la superficie, la riflessione è nulla; man mano che il s. si allontana aumenta linearmente l’intensità della luce riflessa (captata dalle fibre riceventi del s.) fino a un valore di picco; superata una certa distanza l’intensità diminuisce (fig. 2); si possono misurare, utilizzando tali s., non soltanto spostamenti, ma anche grandezze che provocano spostamenti. Un s. di intensità di tipo intrinseco può invece essere utilizzato come s. di temperatura, sfruttando l’autoemissione della fibra che, riscaldandosi, genera una radiazione infrarossa che viene inviata a un dispositivo fotorivelatore.
Rendendo una fibra ottica solidale a una struttura si può realizzare un s. di deformazione (estensimetro a fibra ottica): la deformazione della struttura provoca un allungamento (o un accorciamento) della fibra ottica e una variazione del suo indice di rifrazione; tutto ciò dà luogo a una variazione del cammino ottico della luce, che viene poi rilevata con tecnica interferometrica; il s. è, in questo caso, un s. di fase di tipo intrinseco. Analogamente a quanto accade per gli estensimetri elettrici a resistenza, gli estensimetri a fibra ottica possono essere utilizzati come s. di pressione o di forza, se applicati a elementi elastici.
Sempre con s. di fase, ma di tipo estrinseco, si possono realizzare s. di vibrazione: inviando, tramite fibra e mediante apposita sonda, una radiazione laser su un elemento meccanico in vibrazione, la radiazione viene riflessa dall’elemento, raccolta dalla sonda e riconvogliata in fibra; l’andamento della vibrazione viene, al solito, rilevato facendo interferire la radiazione riflessa con una radiazione di riferimento.
S. a fibra ottica di tipo innovativo sono i s. a reticolo di Bragg: realizzando un reticolo avente un certo passo p in una fibra, vengono riflesse le radiazioni di lunghezza d’onda λ dell’ordine di 2p; poiché il passo del reticolo può dipendere dalla temperatura o dalla deformazione, misurando la lunghezza d’onda della radiazione riflessa, si possono realizzare s. di tali grandezze.
Miniaturizzazione dei sensori. L’utilizzo dei s. in settori nei quali è di fondamentale importanza perturbare il meno possibile l’ambiente in cui si opera (automazione, industria, robotica, biomedicina), ha causato una progressiva miniaturizzazione dei s., al punto da poter considerare le dimensioni ridotte come una delle caratteristiche fondamentali dei moderni sensori. Nel settore dell’automazione, per es., un s. induttivo di spostamento di modesto ingombro può essere realizzato facendo generare un campo magnetico a elevatissima frequenza da un microavvolgimento primario e rilevando la tensione indotta in due microavvolgimenti secondari complanari; i campi indotti nei secondari vengono modificati da riferimenti conduttori (denti) dell’elemento di cui si vogliono rilevare spostamento e velocità; il principio è quello del LVDT, l’ingombro estremamente limitato. Nel settore industriale, s. di temperatura senza contatto vengono realizzati utilizzando tecniche CMOS (complementary MOSFET): è così possibile ottenere termopile (s. termoelettrici che sfruttano la radiazione infrarossa per la misura della temperatura a distanza degli oggetti) formate da serie di termocoppie. Interessanti prospettive vengono offerte dai s. a SAW (surface acoustic wave), cioè dai s. a onda acustica di superficie, formati da un substrato piezoelettrico a superficie piana e da due coppie di elettrodi a configurazione interdigitale (➔ piezoelettricità); una coppia di elettrodi converte un segnale elettrico (per es., una sequenza di impulsi) in un’onda elastica di superficie che si propaga verso la seconda coppia di elettrodi che riconverte nuovamente l’onda in segnali elettrici; il ritardo tra i segnali emessi e quelli ricevuti dipende dalle distanze dei riferimenti che costituiscono le configurazioni interdigitali degli elettrodi; con un’antenna connessa al dispositivo di conversione e riconversione si può operare senza fili e si possono rilevare variazioni di grandezze che provocano variazioni delle dimensioni dei s. a SAW: si realizzano così s. di temperatura, s. di pressione, s. di accelerazione ecc.
Nel settore robotico e in quello biomedico assumono grande importanza i s. di pressione utilizzati come s. di presa e di scivolamento. Un dispositivo utilizzabile allo scopo può essere costituito da un condensatore a facce piane parallele (per es., quadrate), con interposto un dielettrico flessibile: con due sottili armature continue si può rilevare una pressione normale, poiché la capacità del condensatore varia al variare della pressione stessa; se una delle due armature è divisa in quattro parti, si hanno quattro condensatori le cui capacità variano anche al variare degli sforzi di taglio.
Sono dispositivi, solitamente basati sull’effetto fotoelettrico, utilizzati per digitalizzare le immagini a fine di registrazione, analisi o elaborazione nelle telecamere, negli scanner ecc.; in particolare, i s. a scorrimento di carica, basati su dispositivi a stato solido detti CCD (charge coupled device), per cui spesso questi s. sono detti semplicemente CCD. Questi s. sono costituiti da una struttura a matrice, nella quale i singoli fotorivelatori, o pixel, di pochi micrometri di lato, sono ricavati depositando su un substrato di silicio ricoperto di ossido elettrodi semitrasparenti di alluminio che costituiscono una griglia di condensatori in grado di integrare la carica degli elettroni generati dai fotoni incidenti: al termine dell’esposizione, le cariche sono fatte scorrere riga per riga sul registro di lettura, dal quale vengono trasferite una per una, con ulteriore scorrimento, al circuito rivelatore che genera un segnale video.