sicurézza industriale Condizione o qualità di un sistema produttivo esente da evidenti pericoli. La s. i. è determinata dall'assenza di pericoli che possano minacciare l'integrità fisica, psichica e psicologica dell'uomo impegnato nelle attività necessarie per la produzione di beni o nello svolgimento dei servizi destinati ad appagare le esigenze sociali. Esiste s. i. solo quando l'intero complesso dell'industria offre garanzie contro gl'infortuni, le malattie professionali (o da lavoro) e gli altri agenti che abbiano possibilità di alterare il naturale equilibrio del modo di vivere del lavoratore. Più ampiamente la locuzione indica un complesso di discipline unite dal comune obiettivo di risparmiare danni a persone e cose coinvolte, più o meno direttamente, in un'attività industriale.
Abstract di approfondimento da Sicurezza, metodologie e applicazioni di Renato Rota (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
Nell’ambito della sicurezza industriale riveste un ruolo fondamentale la definizione di pericolo (detto anche fattore o sorgente di rischio). Esso viene definito come una proprietà intrinseca di un materiale, di un macchinario, o di un impianto in grado di arrecare un danno alle cose, all’ambiente o alle persone. In particolare, i pericoli presenti in un’attività industriale si possono classificare in due tipologie: (a) pericoli legati a un’esposizione prolungata a fenomeni di bassa intensità con conseguenze a lungo termine (cioè con effetti cronici), le cui problematiche sono affrontate nell’ambito dell’igiene industriale e sono tipicamente (anche se non esclusivamente) correlate alle malattie professionali dei lavoratori; (b) pericoli legati a una breve esposizione a fenomeni di elevata intensità con conseguenze a breve termine (cioè con effetti acuti), le cui problematiche sono affrontate nell’ambito della sicurezza del lavoro sia quando gli effetti dell’incidente hanno ricadute solo all’interno dell’insediamento industriale (per es., l’emissione di una piccola quantità di composti tossici che provocano l’intossicazione dei lavoratori presenti in un reparto, oppure la caduta di un carico sospeso che provoca lo schiacciamento di un lavoratore) sia nell’ambito dei grandi rischi, quando gli effetti dell’incidente hanno ricadute anche all’esterno dell’insediamento industriale coinvolgendo la popolazione residente intorno all’insediamento stesso, come nel caso dell’emissione di una grande nube di composti tossici.
Le metodologie illustrate fanno riferimento in particolare ai pericoli con effetti acuti, anche se la logica con cui vengono affrontati i problemi con esiti cronici non è concettualmente differente. I diversi ambiti culturali che storicamente hanno affrontato le due tematiche, insieme alle ovvie differenze insite nelle due problematiche, hanno però portato allo sviluppo di metodologie che presentano alcune differenze formali.
Nella definizione di rischio occorre esaminare quali siano i pericoli associati a una determinata attività industriale. Alla presenza di benzina, per esempio, è intrinsecamente associato il pericolo di incendio, in quanto la benzina se innescata può facilmente bruciare; alla presenza di una pressa è intrinsecamente associato il pericolo di schiacciamento di una parte del corpo, in quanto la parte in movimento di una pressa schiaccia qualsiasi cosa si frapponga al suo movimento. Trattandosi di una proprietà intrinseca, un pericolo o è presente o è assente; in altri termini, un pericolo può essere eliminato (eliminando o sostituendo il materiale, il macchinario, l’impianto a cui è associato), ma non può essere ridotto.
La presenza di un pericolo in un insediamento industriale può avere conseguenze pratiche molto diverse in funzione sia della probabilità che il pericolo si concretizzi o meno in un evento indesiderato, sia dell’entità del danno che l’evento indesiderato può causare. Quest’ultima dipende a sua volta dall’intensità del fenomeno generato dall’evento indesiderato (per es., la sovrapressione generata da un’esplosione) e della vulnerabilità delle persone e dell’ambiente che subiscono l’impatto di tale evento (come la tipologia della popolazione esposta: bambini piuttosto che adulti). La combinazione dell’intensità del fenomeno e della vulnerabilità (comprensiva anche della frazione di tempo per cui il bersaglio risulta effettivamente esposto al pericolo) definisce, con un termine comunemente utilizzato nell’ambito della sicurezza industriale, la magnitudo delle conseguenze dell’evento indesiderato. Come indicatore della probabilità che il pericolo si concretizzi in un evento indesiderato può essere utilizzata sia una probabilità in senso stretto (cioè un numero adimensionale compreso tra 0 e 1 che indica la frazione del numero di volte che un dato evento atteso può avvenire su un grande numero di ripetizioni di una certa situazione; quindi 0 rappresenta un evento impossibile e 1 un evento certo), sia una frequenza (cioè un numero avente come dimensioni l’inverso di un tempo che rappresenta il numero di volte che un dato evento atteso può avvenire in un dato intervallo temporale). Un pericolo con una probabilità remota di concretizzarsi in un evento indesiderato che provochi danni trascurabili è ovviamente meno preoccupante di un pericolo con una probabilità elevata di concretizzarsi in un evento indesiderato che provochi enormi danni. Tornando all’esempio relativo alla presenza di benzina sul luogo di lavoro e considerando il pericolo d’incendio, il livello di sicurezza sarà diverso se la benzina viene conservata in un recipiente aperto all’interno di un reparto dove è consentito fumare (situazione che comporta un’alta probabilità che il pericolo d’incendio si trasformi nell’evento indesiderato e cioè incendio in reparto), oppure in un recipiente chiuso conservato in un deposito attrezzato con adeguati dispositivi antincendio (situazione che comporta una bassa probabilità che il pericolo d’incendio si trasformi nell’evento indesiderato). Analogamente, in funzione per esempio della quantità di benzina presente e dei dispositivi di protezione individuale a disposizione degli operatori, il danno atteso a seguito del concretizzarsi dell’evento indesiderato, incendio in reparto, potrà essere riconducibile a piccole ustioni a un operatore (situazione che comporta una bassa magnitudo delle conseguenze dell’evento indesiderato) o a morte di diversi operatori (situazione che comporta un’alta magnitudo delle conseguenze dell’evento indesiderato). Anche in questo caso le due situazioni implicano due differenti livelli di sicurezza.
Il concetto di rischio sintetizza in un solo parametro la credibilità che il pericolo possa concretizzarsi in un danno (in altri termini la probabilità o frequenza di accadimento dell’evento indesiderato, indicata con P) e l’entità del danno atteso (cioè la magnitudo delle conseguenze dell’evento indesiderato, indicata con M). In termini matematici, il rischio R è una funzione della probabilità di accadimento di un evento indesiderato e della magnitudo delle conseguenze che tale evento è in grado di provocare:
[1] R 5 f (P,M)
Per gli eventi che provocano effetti acuti, è possibile riportare il valore sia della probabilità di accadimento sia della magnitudo del danno a una scala uniforme a tutti gli eventi indesiderati e spesso viene utilizzato un semplice operatore moltiplicativo come relazione funzionale
[2] R 5 P 3 M.
Questa scelta implica che eventi con elevata probabilità di accadimento e bassa magnitudo siano caratterizzati dallo stesso livello di rischio di eventi con bassa probabilità di accadimento e alta magnitudo, e siano quindi parimenti indesiderabili.
Utilizzando questa relazione, le curve isorischio su un diagramma cartesiano sono rappresentate nella fig. da un’iperbole. Concettualmente, se è possibile definire un valore di rischio ritenuto accettabile, la curva isorischio a esso relativa divide il piano cartesiano in due regioni: (a) la regione al di sotto della curva rappresenta le situazioni con un livello di sicurezza adeguato in quanto in essa il rischio è inferiore a quello accettabile; (b) la regione al di sopra della curva, caratterizzata dai valori del rischio superiori a quello accettabile, rappresenta situazioni con un livello di sicurezza non adeguato.
è importante sottolineare che mentre la stima del rischio comporta valutazioni di tipo tecnico-scientifico, la definizione di un livello accettabile di rischio comporta valutazioni di carattere etico, morale, economico, politico e sociale e non è quindi univoca. In altri termini, un livello di rischio può essere definito come accettabile solo all’interno di un dato contesto e sulla base di valori condivisi da una società. Qualunque siano i criteri utilizzati per definire il livello di accettabilità del rischio, è comunque essenziale che essi siano esplicitati in modo non ambiguo preliminarmente a qualsiasi analisi volta alla stima del rischio, al fine di disporre di un criterio uniforme e chiaro per la valutazione dei risultati dell’analisi. Questo consente di confrontare in modo onesto i diversi pericoli e quindi di scegliere su quali di essi intervenire (ovviamente quelli caratterizzati dal valore di rischio più elevato), implementando modifiche alla situazione esistente al fine di ridurre il livello di rischio e aumentare quindi la sicurezza complessiva dell’insediamento industriale.
Sul diagramma della fig. sono illustrate due modalità diverse ma equivalenti (almeno finché la relazione [2] è assunta come valida) di riduzione del rischio: la prima prevede una diminuzione della probabilità di accadimento dell’evento indesiderato (attraverso l’implementazione di misure di prevenzione), la seconda prevede una riduzione della magnitudo delle conseguenze dell’evento indesiderato (attraverso l’implementazione di misure di protezione dai danni da esso derivati). Ovviamente è possibile, e solitamente opportuno, implementare contemporaneamente misure di prevenzione e di protezione.
Dalle definizioni elencate in precedenza risulta evidente che i pericoli presenti in un ambiente di lavoro possono essere eliminati, mentre i rischi possono essere soltanto ridotti. In altri termini, mentre è possibile eliminare un pericolo, non è possibile annullare un rischio se non eliminando il pericolo che lo genera: il rischio zero in presenza di un pericolo non può essere mai raggiunto.
L’individuazione della probabilità e della magnitudo come le due componenti fondamentali del rischio consente di classificare gli eventi indesiderati con effetti acuti in due grandi tipologie: eventi a bassa frequenza di accadimento e alta magnitudo (identificati con la sigla BFAM e tipicamente associati ai grandi rischi), ed eventi ad alta frequenza di accadimento e bassa magnitudo (identificati con la sigla AFBM e tipicamente associati alla sicurezza sul lavoro). Si noti che i concetti di alta e bassa frequenza sono ovviamente relativi, nel senso che un incidente sul lavoro che provochi la morte di un lavoratore ha una magnitudo alta in assoluto, ma bassa rispetto al cedimento di un serbatoio contenente un gas tossico che potrebbe provocare la morte di decine di residenti nelle vicinanze di un insediamento industriale.
Assodato che ogni attività industriale (come ogni altra attività umana) implica un certo rischio, si pone il problema della corretta gestione dello stesso, così che sia garantito un adeguato livello di sicurezza. In generale, il processo di gestione del rischio si articola nei seguenti passi sequenziali: (a) l’identificazione del contesto in cui il rischio deve essere gestito; (b) l’identificazione dei pericoli; (c) l’analisi qualitativa di rischio; (d) l’analisi di rischio quantitativa; (e) la pianificazione delle misure di protezione e prevenzione; (f) il monitoraggio e il controllo del rischio.