Denominazione con cui si indica solitamente l’Impero Romano d’Oriente, da Bisanzio antico nome della capitale Costantinopoli.
L’antagonismo fra Occidente latino e Oriente ellenistico prese corpo già con la riforma di Diocleziano (284-305). Col trasferimento della capitale dell’Impero a Bisanzio (330) e poi con la ripartizione delle province avvenuta alla morte di Teodosio I gli interessi dell’Oriente prevalsero. Dopo la deposizione di Romolo Augustolo (476), gli imperatori di Bisanzio rivendicarono l’imperium sull’Occidente e con Giustiniano (527-565) tolsero ai barbari Africa, Italia e Spagna mediterranee (fig. 1). Tra la fine del sec. 6° e l’8° si ebbe il distacco definitivo: mentre i Longobardi invadevano l’Italia (568), alcune popolazioni slave e gli Avari a stento furono respinti oltre il Danubio. Nel 604 i Persiani occuparono Mesopotamia, Siria e Palestina; solo il valore dell’imperatore Eraclio (610-641) riuscì a recuperare quelle province. Nel 634 sopravvennero gli Arabi (634) che in pochi anni occuparono Palestina, Siria ed Egitto. Quasi contemporaneamente Croati, Serbi e Bulgari dilagavano nella penisola balcanica e in Grecia. Gli imperatori, assaliti da tanti nemici, cessarono di occuparsi dell’Occidente. L’Impero si staccò dalla tradizione romana e divenne uno Stato orientale, anche nella sua struttura: il territorio fu diviso in circoscrizioni (temi) rette ognuna da uno stratega, il governo centrale assunse il carattere di un’autocrazia fastosa.
Dopo aver corso il pericolo di venire travolto e cancellato dagli Arabi, l’Impero B. si risollevò con Leone III Isaurico (717-740). Gli sviluppi della lotta iconoclasta (➔ iconoclastia) per la prima volta portarono sul trono una donna, Irene (797). Di ciò si valse il papa Leone III per conferire la dignità imperiale a Carlomagno (800). Dopo violente proteste, il titolo fu riconosciuto da Bisanzio (812) e da allora due imperi legalmente costituiti portarono il nome di Roma. Frattanto, perduto l’esarcato di Ravenna, assegnato dai Franchi al papa, l’impero veniva privato anche di Creta, Sicilia, Puglia e Calabria cadute in mano degli Arabi. I Bulgari occupavano parte di Macedonia e Tracia. Basilio I il Macedone (867-886) riprese agli Arabi la Puglia e la Calabria e li ricacciò in Cilicia. La sua opera fu continuata dai successori, importanti tra tutti Niceforo II Foca (963-969), Giovanni I Zimisce (969-976) e Basilio II (963-1025), che portarono i confini alla linea del Danubio e della Sava e all’Adriatico, rioccuparono la Siria, spingendosi in Palestina e Mesopotamia e nella Georgia. La civiltà bizantina, intanto, penetrava col cristianesimo in quella che sarebbe poi divenuta la Russia.
La crisi dinastica seguita alla morte di Basilio II permise ai Turchi Selgiuchidi di occupare Armenia, Mesopotamia, Cappadocia e parte dell’Anatolia. Frattanto in Occidente i Normanni s’impadronivano dell’Italia meridionale e assalivano l’Impero in Epiro. L’energia della dinastia dei Comneni (1081-85) non poté arrestare la decadenza. I contatti tra Latini e Greci in occasione della Crociata produssero solo diffidenza e poi aperta rivalità, finché i Franco-Veneziani, assalita Costantinopoli tenuta dall’usurpatore Alessio III, crearono un impero latino (1204), occupando parte di Tracia e Macedonia e costituendo in Grecia vari Stati feudali. I Bizantini si frazionarono in tre Stati: l’Impero di Trebisonda, il despotato di Epiro e l’Impero di Nicea. Quest’ultimo rappresentò la continuità della tradizione imperiale: nel 1261 Michele VIII Paleologo rioccupò Costantinopoli. Ma l’impero restaurato ormai non aveva più alcun carattere di universalità. I Paleologhi lo difesero per due secoli contro Serbi e Turchi ottomani (fig. 2). Nel 1453 Costantinopoli cadde in mano dei Turchi dopo un’eroica difesa, nella quale morì l’ultimo imperatore Costantino XI Paleologo.
Con letteratura bizantina si intende quella parte della letteratura greca che va dall’inizio del regno di Giustiniano (527 d.C.) alla caduta di Costantinopoli (1453): entro questi limiti può definirsi come letteratura del Medioevo orientale greco, avente come centro Costantinopoli. Priva di grandi figure e di orientamenti originali, interessa soprattutto per quello che ha tramandato dell’antichità classica, per la storia del cristianesimo e ancor più per i molteplici rapporti che l’Impero B. ha avuto con l’Occidente e l’Oriente. Per il tramite della letteratura b. la civiltà greco-romana si è diffusa nel mondo slavo e orientale, ma non mancano esempi, specie nella novellistica popolare, di opposto procedimento.
Nella lingua si accentua il fenomeno che ha avuto inizio in età ellenistica con l’atticismo ed è continuato con la diglossia nel greco moderno: la lingua letteraria, ricalcata sugli autori attici, si allontana sempre più dalla lingua popolare. Con la graduale perdita del senso della quantità, alle clausole ritmiche si sostituiscono nella prosa clausole accentuative simili al cursus del latino medievale; nella poesia, sui metri classici, conservati più o meno artificiosamente, finiscono col prevalere i metri accentuativi: soprattutto un dodecasillabo e, dal 1000 in poi, il cosiddetto verso politico.
Può dividersi in quattro periodi. Il primo, da Giustiniano a Eraclio (527-641), è periodo ancora ellenistico: prevalgono gli scrittori d’origine orientale, primo su tutti Romano il Melode, il maggior poeta b., che perfezionò il contacio, forma poetico-musicale di origine sira. La poesia profana segue l’esempio dei poeti del 5° sec., soprattutto di Nonno; accenti originali sono in Giorgio Piside (sec. 7°) che canta nel nuovo verso (dodecasillabo b.) avvenimenti storici, controversie teologiche, argomenti morali e satirici. L’epigramma è trattato da Agazia e da Paolo Silenziario. La teologia si limita a controversie cristologiche. La storia ecclesiastica, dopo una produzione abbondante, cessa nel 6° sec. con Evagrio, per rivivere solo nel 14° sec. con un compilatore, Callisto Niceforo Xantopulo. Più spontanea è la letteratura ascetica (Giovanni Climaco nel sec. 6°, Giovanni Mosco nel sec. 7°); a questo genere può avvicinarsi il romanzo di Barlaam e Iosafat, che esercitò influssi sulle letterature occidentali e slave. Nella storiografia si notano due tendenze: l’una segue l’esempio classico di proseguire l’opera di un predecessore; l’altra, con le cronache, tenta la storia universale dal principio del mondo al presente, continuando modelli ellenistici ma rivolgendosi spesso solo a ristretti ambienti monastici.
Il secondo periodo (641-850) è quello della decadenza. Ridotto ormai alla penisola balcanica e all’Asia Minore, l’impero concentra tutte le sue forze nella lotta contro i musulmani; dal 726 lo agita il moto iconoclasta, contro il quale si leva dapprima Giovanni Damasceno, la figura di maggior rilievo, notevole, oltre che per la vasta opera teologica, come poeta liturgico, e poi Teodoro Studita, campione del monachesimo e autore di opere ascetiche. Vanno ricordati Andrea di Creta (650-720) e Cosma di Gerusalemme: per opera loro al contacio si sostituisce una forma più complessa e artificiale, il canone. Tra i cronisti si distinguono Giorgio Sincello (sec. 8°-9°), Teofane il Confessore e, nel 9° sec., Giorgio Monaco o Amartolo.
Il terzo periodo (850-sec. 11°) coincide nel suo inizio con un certa rinascita politica dello Stato b.: il clero nazionale si fa più unito, preparandosi a distaccarsi definitivamente da Roma. Il pregiudizio ortodosso contro l’antichità classica è ormai superato. L’agiografia è coltivata nel 10° sec. da Simeone Metafraste, raccoglitore, piuttosto che autore, di vite dei santi, l’innografia da Giuseppe l’Innografo (sec. 9°), l’innografia e l’epigramma profano da Giovanni Mauropode, Giovanni il Geometra, Cristoforo di Mitilene. Più viva e varia è l’opera di Michele Psello (sec. 11°), la cui storia è importante fonte per il periodo dal 976 al 1077. Tra gli altri storici si segnalano Giuseppe Genesio, Giovanni Cameniato, Leone Diacono e i cronisti Giovanni Skilitze e Giorgio Cedreno.
Il quarto periodo (sec. 12°-15°) comprende l’età dei Comneni e dei Paleologhi ed è caratterizzato dal classicismo. Particolare interesse ha la storiografia (Niceforo Briennio, Anna Comnena), che tratta le vicende dell’impero al tempo delle Crociate. Eustazio di Tessalonica (m. 1192) è autore di prolissi commenti ai poemi omerici, il suo allievo Michele Coniate (conosciuto anche come Michele Acominato) scrive giambi sulla decadenza di Atene. Il romanzo (trattato da Teodoro Prodromo, Niceta Eugeniano e Costantino Manasse), la poesia satirica, i dialoghi di imitazione lucianea hanno forte impronta retorica. Del 12° sec. è il dramma sacro Christus patiens, centone euripideo. Durante l’impero latino, la cultura b. si continua nell’impero di Nicea (con Niceta Acominato, Giorgio Acropolita, Niceforo Blemmida). La vita intellettuale risorge sotto gli ultimi Paleologhi. I fratelli Tzetze, Massimo Planude, Manuele Moscopulo, Demetrio Triclinio sono buoni filologi. Vivaci dispute si accendono in favore e contro l’unione delle Chiese (Giovanni Becco, Gregorio di Cipro, Marco Eugenico), in difesa dei monaci contemplativi ‘esicasti’ come Gregorio Palamas, o contro di essi, come Barlaam Calabro e Niceforo Gregora. La storiografia prosegue fino alla caduta di Costantinopoli con Duca, Giorgio Sfranze, Laonico Calcondila.
Ha uno svolgimento indipendente e in alcune manifestazioni si mostra più aperta a influssi occidentali. L’opera più importante è il ciclo epico di Digenis Acritas, paragonabile al ciclo spagnolo del Cid e pervenutoci in una redazione in versi politici dei sec. 14°-15°. Altri canti storici appartengono più alla letteratura neogreca che alla bizantina. In versi politici sono anche il poemetto Spanea e racconti romanzeschi (la leggenda di Alessandro, la versione greca di Florio e Biancofiore, del Fisiologo e altri); in prosa, la traduzione del Sintipa di Michele Andreopulo, la storia di Calila e Dimna (di origine indiana, del sec. 11°), alcune cronache e le assise del regno di Cipro.
Propriamente si definisce arte e architettura b. la produzione che ebbe per centro d’irradiazione, dal 4° sec., Costantinopoli. Altre regioni dell’impero b. (Egitto, Siria, Anatolia, Armenia, Mesopotamia) elaborarono le nuove forme cristiane sulla base di tradizioni e tendenze peculiari. Tuttavia questi singoli centri parteciparono tanto profondamente alla formazione dell’arte di Costantinopoli che, pur nella sua molteplicità di aspetti particolari, l’arte cristiana d’Oriente presenta caratteri generali che consentono anche una trattazione unitaria.
Nel 4° sec. le tradizioni classiche erano vive in Oriente (Alessandria, Antiochia, Efeso). Nelle zone interne dell’Asia Minore sopravvivevano invece tradizioni dell’antico Oriente: la reciproca compenetrazione delle due tradizioni determinò la nascita di un nuovo linguaggio. Dall’Oriente derivano forme architettoniche quali la cupola persiana e la basilica mesopotamica a volta, la tendenza al realismo rappresentativo e un particolare stile decorativo. Alla tradizione classica si può ricondurre il gusto della decorazione pittorica, la persistenza di soggetti mitologici e allegorici, un’elegante chiarezza. La creatività dei sec. 4° e 5° nell’Oriente asiatico si propagò in tutto il mondo mediterraneo: a Salonicco (basiliche di S. Demetrio e della Santa Parasceve e chiesa di S. Sofia), a Ravenna (mausoleo di Galla Placidia, Battistero degli Ortodossi). I caratteri architettonici e la decorazione delle costruzioni costantiniane ad Antiochia, Gerusalemme, Betlemme ebbero spesso valore normativo per lo stesso Oriente. A Costantinopoli, dove sono raccolti capolavori della Grecia classica, convengono artisti di varia origine; già nel 5° sec., sotto Teodosio II, accanto alla modesta tradizione locale di lapicidi che intagliano sarcofagi di arenaria, si afferma un’arte raffinata, che prosegue la tradizione antica ma già presenta i nuovi caratteri dell’arte b.; il decadere, dal 6° sec., dei centri di cultura mediterranei, accentua il primato di Costantinopoli, la cui arte si svolge in modo coerente sino alla crisi iconoclasta dell’8° secolo. Con il ritorno al culto delle immagini, accanto a un’ispirazione al passato classico e pre-iconoclasta, affiorano nuove tendenze. Nell’arte b. si possono dunque distinguere tre periodi: paleobizantino (età di Giustiniano, sec. 6°); mediobizantino, successivo all’iconoclastia (dinastie macedone e comnena, sec. 9°-12°) e tardobizantino (o rinascenza paleologa, sec. 14°).
Capolavoro dell’architettura b. fu S. Sofia a Costantinopoli (532-37), opera di Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto. La pianta è data dalla fusione di impianto basilicale e centrale; sul quadrato d’innesto s’imposta la vastissima cupola sorretta da pennacchi, secondo un complesso sistema di scarico di volte e pilastri. Raffinatissima la decorazione architettonica. Vicina per la pianta a S. Sofia è SS. Sergio e Bacco a Costantinopoli. L’arte b. accoglie anche impianti basilicali, sia di tipo ellenistico con copertura a tetto, con matronei sulle navatelle e sul nartece e con abside esternamente poligonale (S. Giovanni di Studion, a Costantinopoli, 463), sia di tipo orientale a volte, quali le già citate chiese di Salonicco e quelle di S. Apollinare Nuovo e S. Apollinare in Classe a Ravenna. La basilica a volte può presentare anche una cupola (basilica di Meriamlik in Cilicia, sec. 5°; S. Irene a Costantinopoli, sec. 6°). Accanto alla pianta longitudinale apparve nel 4° sec. la pianta centrale, di cui era già esempio la basilica eretta da Costantino ad Antiochia. Furono di questo tipo i martyria, con varie soluzioni, tra cui notevole quella a tre absidi (triconco) e i soroi, oratori che ospitavano reliquie o icone venerate. Tali schemi persistettero fino ai sec. 14° e 15° e trovarono favore particolare in Serbia, Bulgaria, Moldavia, Valacchia. L’architettura b. predilesse soprattutto la pianta a croce con i quattro bracci uguali e con 5 cupole all’incrocio e alle estremità (chiesa dei SS. Apostoli a Costantinopoli, sec. 6°, distrutta nel 1453; S. Marco a Venezia); si configura così la pianta a croce greca, inscritta in un quadrato: all’incrocio, su tamburo poligonale, è una cupola con raccordi a volta o con pennacchi sferici; agli angoli sono quattro cupole, e altre talora coronano il nartece. Il braccio orientale si prolunga a formare l’abside, fiancheggiata da due absidi laterali. Questo tipo, fissato nel 9° sec. nella Chiesa Nuova di Costantinopoli (scomparsa), restò costante nell’arte bizantina. La decorazione esterna si arricchisce nel 10° sec. con alternanze di pietre e mattoni, inserzioni di ceramiche, graffiti; l’interno è rivestito da marmi policromi fino all’innesto delle volte e delle cupole, nelle quali sono mosaici su fondi azzurro e oro o affreschi. Rari i monumenti superstiti dell’architettura civile; a Costantinopoli restano ampi tratti del palazzo imperiale, di cui molto è noto dalle fonti, le mura del 5° sec. e cisterne sotterranee. Di grande interesse le rovine di Mistrà.
Costantino riunì nella capitale numerosi capolavori della scultura classica, mentre artisti di ogni provenienza, specialmente di Afrodisia, elaboravano i temi dell’arte tardoantica. Alla fine del 4° sec., sotto Teodosio, accanto a un’arte popolare locale si delinea una tendenza aulica (sarcofago di Serigüzel), cui appartengono alcuni ritratti imperiali del 5° secolo. Distrutte le due colonne coclidi di Costantinopoli, resta la base dell’obelisco di Teodosio (390 ca.). Persa è anche la statua equestre di Giustiniano, ma della toreutica b. è un esempio la statua colossale di Barletta (sec. 5°-6°). Importante l’intaglio in avorio, specialmente nei dittici consolari (valva di dittico con un angelo, sec. 6°, Londra, British Museum). Significativi, per il perdurare dell’ispirazione classica, sono gli argenti b., spesso datati dai bolli imperiali, tra cui alcuni, del 7° sec., hanno fatto pensare a un vero rinascimento dell’antico. Incline ad accogliere motivi orientali è la scultura architettonica (capitelli, transenne). Dopo il periodo iconoclasta la scultura si presenta in forme compatte, ieratiche e altamente espressive (tondo con figura d’imperatore a Campo Angaran a Venezia, pomo di scettro di Leone VI ecc.), cui segue, nell’11° sec., un periodo di raffinata stilizzazione (Madonna delle Mangane, Istanbul, Museo archeologico; rilievi a Venezia, S. Marco; trittici eburnei di Harbaville a Parigi, Louvre, e di Palazzo Venezia a Roma).
Della produzione pittorica a Costantinopoli nei sec. 4° e 5° non sono rimasti che alcuni frammenti di mosaici pavimentali del Grande Palazzo, nei quali si nota la permanenza di motivi ellenistici trattati con straordinaria libertà pittorica. Centro artistico importante è Salonicco, dove si conservano due preziose testimonianze: i mosaici della cupola di S. Giorgio, una schiera di Santi con un complesso sfondo architettonico (fine 4° sec.), e quelli dell’abside di Hosios David con la Visione di Ezechiele, la cui maniera larga e monumentale si differenzia da quella della capitale. Il fervore creativo a Costantinopoli nei sec. 6° e 7° è testimoniato dalle fonti e da pochi monumenti rimasti: il Dioscoride fatto miniare prima del 512 da Giuliana Anicia (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek) e un frammento musivo di S. Nicola al Fanaro (7° sec. ?), cui si connettono i raffinati mosaici della chiesa della Dormizione a Nicea (7° sec.; distrutti nel 1921-22). Ancora a una corrente dell’arte della capitale appartengono i mosaici di S. Caterina al Sinai (6° sec.); di qualità meno raffinata sono quelli di S. Demetrio a Salonicco e delle chiese cipriote della Panagia Angeloktistos e della Panagia Kanakaria (6° sec.). Pur nell’ambito di una scuola locale dalle complesse componenti, i mosaici di Ravenna, in particolare quelli di S. Vitale (547 ca.), mostrano agganci con l’arte costantinopolitana, mentre di artisti greci sono gli affreschi in S. Maria Antiqua a Roma (7°-8° sec.). Un caso particolare sono gli affreschi di Castelseprio. Dal 6° sec. iniziò la vasta produzione di icone, molte eseguite a encausto (tra le più antiche rimaste sono quelle del Sinai).
Conseguenza dell’iconoclastia fu un distacco tra l’arte popolare e quella di corte: le chiese erano decorate con figurazioni zoo- e fitomorfiche con la sola croce nelle absidi (S. Irene a Costantinopoli); questo tipo di decorazione ha agganci con i mosaici della Cupola della Roccia a Gerusalemme (691-92) e della grande moschea di Damasco (705-11). Nell’ambito del monachesimo orientale, tuttavia, continuò la produzione di icone e decorazioni con ricche tematiche iconografiche d’impronta arcaica e poveri mezzi espressivi (codici e pitture delle chiese rupestri in Cappadocia). A Roma gli affreschi della cappella dei SS. Quirico e Giulitta in S. Maria Antiqua sono testimonianza dell’attività di iconoduli emigrati.
Dopo la definitiva condanna dell’iconoclastia e in particolare con la dinastia macedone, al rozzo espressionismo dominante l’ambito popolare orientale, e che certo influenzò le prime composizioni figurate (S. Sofia a Salonicco, Salterio Chludov di Mosca), fece seguito un ritorno a temi e tecniche espressive di stampo classico (soprattutto nella miniatura). Di eccezionale qualità sono i mosaici dell’abside e del bema di S. Sofia a Costantinopoli (867). Sul finire del 10° sec. si elaborò uno stile nuovo, intriso di spiritualità profonda: con una prevalenza del linearismo sul pittoricismo, la figura perse la sua materialità, inserita in uno spazio sempre più astratto. Ben presto norme d’intento dogmatico e liturgico fissarono il programma di decorazione delle chiese: nella cupola il Pantocrator, nell’abside la Vergine e, nelle volte e sugli archi, scene attinenti al sacrificio della messa (Comunione degli apostoli, Divina liturgia ecc.), le dodici feste maggiori, le immagini dei santi, sulla parete d’ingresso il Giudizio Universale.
Le fasi stilistiche e iconografiche possono essere seguite, nell’11° sec., attraverso le decorazioni del monastero di Hosios Lukas in Focide, di S. Sofia di Kiev, della Nèa Monì di Chio, della cupola di S. Sofia a Salonicco, della chiesa di Daphni presso Atene. Anche nella miniatura si affermò un’arte sempre più severamente disciplinata in senso dogmatico e liturgico (Menologio di Basilio II, Biblioteca Vaticana, sec. 10°; Omelie di Giacomo Monaco, Bibliothèque Nationale di Parigi e Biblioteca Vaticana, sec. 12°). I mosaici di Torcello e di S. Marco a Venezia, quelli di Cefalù, Monreale e Palermo, mostrano la forte presenza dell’arte b. in Occidente, accentuata con l’importazione di opere b. dopo la caduta di Costantinopoli (1204), mentre artisti b. lavoravano in Macedonia e Serbia (Ochrida, 1037-40; Nereži, 1164, Sopočani, Studeniza, Milescevo, 13° sec.) e in Russia (Vladimir, 1194).
La restaurazione dell’impero produsse un’arte vivace ed elegante, con un arricchimento iconografico (scene della vita di Maria, dell’infanzia di Cristo, dei santi), testimoniata da mosaici e affreschi in S. Salvatore in Chora (Kariye Cami) e in S. Maria Pammakaristos (Fetiyeh Cami) a Costantinopoli. Importanti centri dei sec. 13° e 14° sono ancora Salonicco, Mistrà e il Monte Athos. La caduta dell’impero segnò la fine dell’arte b.; la pittura d’icone proseguì la sua tradizione come genere a sé, mentre l’arte cretese-b. dei secoli successivi si configurò con proprie caratteristiche.
Nei sec. 5° e 6° ebbe grande diffusione l’oreficeria siriaca (calice di Antiochia, piatti d’argento da Kerynia); laboratori celebri furono a Costantinopoli e ad Alessandria, di cui si ha testimonianza fino al 14° secolo. Nei sec. 9°-10° si diffuse l’uso dello smalto; in oreficerie e paramenti, gli smalti testimoniano un ricco gusto decorativo e una grande abilità tecnica (stauroteca, Limburg, Domschatz, sec. 10°; Pala d’oro, Venezia, S. Marco). Al 10° sec. risale anche un notevole gruppo di cofanetti eburnei, decorati prevalentemente con soggetti classici (cofanetto di Veroli, Londra, Victoria and Albert Museum). Al graduale impoverimento dell’impero corrisponde il decadere dell’oreficeria, mentre le arti del tessuto e del ricamo mantennero l’alto livello raggiunto nell’arte cristiana d’Oriente; a Costantinopoli nel 7° sec. e nel 10° si fabbricavano stoffe nelle quali le stilizzazioni simmetriche, i colori brillanti, la ricca ornamentazione rivelano l’influsso orientale; rappresentativi per l’arte del ricamo sono la cosiddetta dalmatica di Carlomagno (sec. 14°, S. Pietro in Vaticano, Tesoro) e l’epitaffio di Salonicco (sec. 14°, Atene, Museo Bizantino).
Per musica b. s’intende, in senso stretto, l’insieme dei canti greci del cerimoniale sacro e pubblico dell’impero b.; in senso lato, anche il patrimonio di canti che alla caduta di quell’impero si erano diffusi in tutti gli ambienti greco-ortodossi di rito bizantino.
Nulla di certo si può affermare circa le origini del canto sacro b., che rappresenta non tanto una continuazione dell’antica musica greca, ma piuttosto la sintesi di stili provenienti da tutte le regioni dell’impero: si ritiene infatti che le più antiche melodie non fossero che varianti di canti festivi popolari d’origine siriana; altre melodie provenivano dalla Chiesa palestinese. Le prime forme di canti religiosi liberi si ebbero nei tropari, brevi interpolazioni tra i versi dei Salmi, che sviluppandosi divennero inni. La melodia, originale nei cosiddetti automela, ripresa da canti più diffusi nei prosomia, si ripeteva uguale nelle strofe successive alla prima (hirmòs). Tali melodie erano raccolte in libri liturgici detti irmologie. Sembra che nel primo periodo (sec. 6°-7°) il poeta (melode) pensasse egli stesso a musicare il suo carme. Tra i più importanti: Sofronio da Gerusalemme, Sergio da Costantinopoli, Anastasio monaco del Sinai e soprattutto Romano il Melode che unì influssi siriaci e semitici. La tendenza a sempre più fastose pompe, caratteristica della Chiesa di Bisanzio, condusse anche il canto sacro a maggiore complessità, come si nota negli akoluthia: riunione di nove inni in un solo componimento canonico. Di simili componimenti, il primo autore notevole è Andrea, arcivescovo di Creta (660 ca. - 740), cui tennero dietro, nella fama, Giovanni Damasceno e Cosma Gerosolimitano: del primo è la raccolta di inni in ordine modale detta oktoèchos.
Dalla metà del 9° sec. all’11° e 12°, scomparsa la figura del melode, sottentra quella dell’innografo, autore del solo testo poetico, non della melodia, che viene presa dal patrimonio già diffuso. Ma nei sec. 13°-14° assistiamo al fiorire d’una nuova scuola musicale, basata non solo sulla sillabazione ma su una fiorente melismatica. Tra i nuovi compositori, detti melurgi o maistores, Giovanni Kukuzelis, Giosafatte Lascaris, Mitrofanio Blemmide (sec. 13°), Agatone Ieromonaco e molti altri nel 14° sec., Angaliano Domestio e altri nel 15° sec., Manuele Chrysafis e Marco da Corinto nel 16°. Crescente su questi musicisti l’influenza esercitata da modelli eterogenei: bulgari, persiani, franchi ecc. Tra le manifestazioni musicali di genere profano le più importanti consistevano nelle acclamazioni rituali che s’intonavano per onorare, nelle varie solennità, l’imperatore. Alcune di esse entrarono nella liturgia.
È propriamente il patriarcato di Costantinopoli; in senso più ampio, l’insieme dei patriarcati ortodossi compresi nell’impero b; in senso amplissimo, si dice talvolta dell’intera Chiesa ortodossa o greco-ortodossa. Nella prima e seconda accezione, si parla anche di teologia b., soprattutto con riferimento alle lunghe e sottili dispute teologiche.
Il rito b. (detto un tempo rito greco, o greco-armeno, greco-russo ecc.) ha subito varie modificazioni nei diversi patriarcati e paesi con il progressivo affermarsi delle autocefalie ed è seguito anche da numerosi orientali ‘uniati’, cioè cattolici. Ebbe origine da quello di Antiochia, ma se ne distaccò formandosi riti particolari, calendario proprio ecc., quando Costantinopoli fu riconosciuta sede di un patriarcato che, nel concetto orientale, era secondo soltanto a Roma (451). Questa liturgia si diffuse poi in varie parti dell’impero e in regioni adiacenti. Quando penetrò in Siria, nei sec. 10°-11° con l’estendersi dell’influenza b., fu tradotta in siriaco, poi in arabo, per i Melchiti, in paleoslavo (sec. 10°) e quindi, con successivi rimaneggiamenti, nelle diverse lingue nazionali: in georgiano (sec. 10°-11°), in romeno (dal 1690), in ungherese (per i Ruteni soggetti al regno d’Ungheria; sec. 18°-19°), in albanese (dal 1912) e nelle lingue dei paesi baltici, divenuti indipendenti dopo la Prima guerra mondiale, nonché in varie lingue asiatiche, a uso dei missionari russi. In greco si mantiene, oltre che nel territorio ellenico e nelle colonie greche del Mediterraneo orientale, anche nelle colonie greche e albanesi dell’Italia meridionale e della Sicilia, nonché presso l’Abbazia di Grottaferrata e nel Collegio di S. Atanasio in Roma. Speciale attenzione merita la liturgia greca usata nell’Italia meridionale tra i sec. 8° e 16°.
La liturgia b. si distingue per il suo carattere conservatore, per la più diretta partecipazione degli assistenti, che rispondono (o per essi il lettore o il cantore) al diacono che sta tra i fedeli e il sacerdote; per la tendenza alla solennità (numerosi concelebranti; prostrazioni ecc.), oltre che per la venerazione delle icone per taluni usi speciali. Libri liturgici principali sono, oltre l’Apòstolos (epistole) e l’Euangèlion (Vangeli), lo Psaltèrion (Salmi e cantici), l’Euchològion (slavo Trebnik, romeno Euchologiul), pontificale e rituale, l’Horològion, per l’ufficio ordinario, l’Oktoèchos per gli uffici domenicali e feriali, disposti secondo gli otto toni del sistema musicale b., il Triòdion per la Quaresima, il Pentekostàrion per il tempo tra la Pasqua e la Pentecoste, i Menei (dodici libri per i vari mesi dell’anno) e il Typikòn, specie di Ordo perpetuus (funzioni e cerimonie).
In senso lato, diritto dell’impero orientale da Costantino alla caduta di Costantinopoli; in senso stretto, diritto successivo alla compilazione giustinianea. Le principali raccolte iniziano nell’8° sec. con l’Ecloga di Leone III l’Isaurico (740), di 144 capitoli. Dello stesso periodo sono tre raccolte di consuetudini, il nómos georgikós, usi agrari, il nómos stratiotikós, regole militari, e il nómos Rodíon nautikós (lex Rhodia), norme marinare. Seguono le opere dei primi due imperatori della dinastia macedone, Basilio I e Leone VI, il Prochiro (879), l’Epanagoge (867-913) e i Basilici (➔). Raccolte di leggi continuarono fino al 1453. Nelle regioni b. d’Italia la legislazione imperiale fu recepita e adattata alla realtà locale, come dimostra il Prochiron legum, redatto probabilmente in Calabria nel 10°-11° secolo.