Il destino di Casa Ricordi e la fortuna delle opere di Verdi sono indissolubilmente allacciati, nel senso che lo sviluppo e il diffondersi delle attività dell’editore milanese furono fortemente sostenuti dal successo – immediato e a livello mondiale – riscosso dalla musica del compositore di Busseto, un successo ininterrotto sino ai nostri giorni.
Pierluigi Petrobelli1
Ragionare sul successo di Giuseppe Verdi, oggi come nell’Ottocento, significa anche ragionare sul ruolo che ebbe l’editore Ricordi nella carriera del genio di Busseto e nella costruzione del mito legato alla sua figura. Fu l’editore milanese, infatti, attraverso strumenti che oggi diremmo propri delle cosiddette industrie creative, a fornire a Verdi quegli strumenti organizzativi, promozionali e di intermediazione che ne favorirono l’affermazione a livello nazionale e internazionale. Indagare questo rapporto lavorativo, un sodalizio per molti versi unico e irripetibile, significa interrogarsi sul complesso legame che da sempre sussiste tra arte e industria, quell’oscillazione costante tra creatività e imprenditorialità che è fattore intrinseco della produzione artistica.
Dove finisce il genio musicale e inizia l’attività di intermediazione e diffusione propria dell’editore? In quale misura Ricordi favorì il successo di Verdi e, viceversa, che eco ebbe il trionfo internazionale di Verdi su Ricordi? È difficile stabilire confini netti dell’operato dell’uno e dell’altro, pertanto non si intende qui risolvere questo dibattito in modo schematico, evidenziandone gli sterili nessi causa-effetto, piuttosto si vuole mettere in evidenza la problematicità legata al concetto di arte come prodotto. Già prima di Verdi, l’opera lirica rappresenta un esempio della complessità intrinseca di questo concetto: è una forma d’arte in cui l’individualità del genio artistico convive con la 'collettività' delle professioni legate alla produzione teatrale, la ricerca musicale e letteraria con la necessità di soddisfare le aspettative del pubblico, l’unicità del momento musicale con la natura seriale delle produzioni itineranti. Al pari del cinema oggi, l’opera lirica nell’Ottocento è un ottimo strumento di analisi e comprensione della necessaria organizzazione in un mercato della creatività.
L’attività di diffusione delle opere verdiane messa in atto da Ricordi disvela quella modernissima 'macchina' editoriale e commerciale che, già nell’Ottocento, era capace di promuovere il talento artistico a livello internazionale, di creare un vero e proprio network con i teatri e le varie professionalità della produzione operistica. Ricordi dunque non solo fornì a Verdi 'l’infrastruttura' editoriale che permise alle sue opere di circolare ovunque, ma contribuì in modo decisivo a costruire il mito legato alla sua figura, una figura che, come scrive Francesco Degrada, «ha assunto per diverse generazioni la dimensione di un simbolo, è assurta – nobile e solenne – nell’Olimpo dei ‘padri della patria’, dei geni tutelari della nazione»2.
Si trova traccia di tutto questo nei documenti conservati nell’Archivio Storico Ricordi di Milano. L’Archivio custodisce, infatti, una raccolta imponente e variegata di documenti legati alla figura di Giuseppe Verdi e all’attività svolta dall’editore nel lungo processo di creazione del mito verdiano. Il cuore di questa raccolta è sicuramente costituito dalle partiture autografe – l’Archivio raccoglie 23 delle 28 opere composte da Verdi – e dalle lettere indirizzate all’editore. Per Verdi era sufficiente intestare «Egr. Sig. Giulio Ricordi – Stabilimento Musicale – Milano», perché la corrispondenza arrivasse a destinazione. Ritroviamo la sua grafia su decine di buste, telegrammi, biglietti e lettere indirizzati ai Ricordi, suoi editori, per un totale di ben 1769 documenti. Il fenomeno Verdi tuttavia non è rintracciabile solo nelle partiture e nella corrispondenza, ma fa capolino anche nella posta inviata da figure a lui vicine come i librettisti Antonio Ghislanzoni e Arrigo Boito, nei contratti d’acquisto delle opere teatrali, che testimoniano il suo potere contrattuale, prova inequivocabile di una carriera la sua che ebbe pochi eguali nell’Ottocento. Accanto a queste testimonianze sono conservate in Archivio anche le foto d’epoca, i disegni dei costumi e delle scene originali, spesso delle prime rappresentazioni, le tavole di attrezzeria, numerosi libretti ed edizioni a stampa. È solo attraverso uno sguardo d’insieme a questa molteplicità di fonti che è possibile ricostruire il successo di Verdi, che fu, in sostanza, il successo dell’editore Ricordi e il motore di un’espansione inarrestabile.
Nell’arco di cinquant’anni, la forte personalità di Verdi, la sua lucida determinazione, il radicato senso degli affari e l’altezza dei suoi ideali artistici si confrontano con le tre diverse personalità degli editori: con Giovanni – il fondatore della Casa – il rapporto è sostanzialmente equilibrato, se non altro per la differenza di età e di esperienze. Con Tito I, succeduto al padre Giovanni nella gestione dell’azienda alla morte di lui nel 1853, i rapporti furono invece a dir poco tempestosi e, a partire da un certo momento, esclusivamente legati alla sfera commerciale. Fu invece con il giovane Giulio, nipote di Giovanni, il più intelligente e aperto dei Ricordi, che Verdi poté allargare lo spettro degli argomenti: Giulio divenne presto non solo il destinatario di ogni sorta di richieste, ma un vero e proprio factotum anche sul piano artistico e musicale, perché era un interlocutore sensibile e colto, con il quale era possibile dialogare e discutere problemi creativi, e dal quale Verdi sapeva che avrebbe ottenuto la collaborazione, a tutti i livelli, per la realizzazione nel vivo dello spettacolo della sua concezione artistica.
Per capire meglio questo rapporto, è opportuno fare un passo indietro e cercare di immaginare il contesto in cui Verdi, nell’arco di quindici anni, dal 1832 al 1848, maturò artisticamente, ovvero la Milano della prima metà dell’Ottocento, la stessa città in cui Ricordi, negli anni precedenti al fortunato incontro, da semplice copisteria divenne il principale editore musicale della capitale lombarda. Milano in quegli anni era una città ricca e in crescita, in cui la progettualità economica si sposava a quella culturale. È qui che nascono la Borsa e la Cassa di risparmio ed è sempre qui che gli intellettuali si confrontano con il Razionalismo e l’Illuminismo europeo, promuovendo un’idea di sviluppo e di modernità capace di affrancarsi dalle passate esperienze cospirative per sposare valori liberali e nazionali. Queste forze in gioco fecero di Milano il principale polo culturale della penisola, esercitando un forte potere attrattivo sui giovani compositori e artisti dell’epoca. In quegli stessi anni il settore teatrale vive una decisiva fase di sviluppo: ormai strumenti riconosciuti di acculturazione e controllo sociale, i teatri sorgono numerosi in tutta la penisola, e Milano in tal senso è in prima fila. Le cause sono molteplici, come evidenzia Marcello Conati:
Alle basi di questo boom stava, accanto al definitivo tramonto della committenza ecclesiastica, la grande ascesa dell’opera di Rossini nel corso degli anni Venti, […] l’istituzione di società filarmoniche, un’intensificazione dell’edilizia teatrale nei grandi, medi e fin piccoli centri […], la proliferazione, sempre in Milano, delle agenzie teatrali e la crescente affermazione del giornalismo teatrale.3
Questa diffusione, apprezzabile nei primi decenni dell’Ottocento, favorì la circolazione delle opere teatrali fornendo ai compositori un sistema di distribuzione delle loro creazioni artistiche, ponendo le basi del successo del melodramma nei decenni successivi. Una personalità come Carlo Cattaneo parlò in quegli anni di una vera e propria “industria” del melodramma. Di quell’industria Milano rappresentava il baricentro, grazie al prestigio crescente del Teatro alla Scala e dei suoi compositori (Bellini, Donizetti e Mercadante) e dei due principali editori lì in attività: Francesco Lucca e Giovanni Ricordi. Non risulta difficile comprendere perché Verdi, consigliato dal mecenate Antonio Barezzi e dal maestro bussetano Ferdinando Provesi, scelga la capitale lombarda per completare e perfezionare i suoi studi e, successivamente, avviare la sua carriera di compositore.
È in questo contesto che si muove Giovanni Ricordi (1785-1853). Di professione violinista e copista, Giovanni comincia presto a collezionare partiture e libretti. A partire dal 1803 firma diversi contratti con alcuni teatri milanesi, che gli accordano i diritti di diffusione di parti del materiale musicale da lui prodotto: sono il Teatro Carcano, il Teatro del Lentasio e il Teatro Girolamo. I contratti gli assicurano il diritto di vendere brani per pianoforte o voci orchestrali. Queste prime acquisizioni di materiali musicali rappresentano, di fatto, la genesi dell’Archivio Storico Ricordi.
È l’epoca in cui i mutamenti messi in atto dalla rivoluzione industriale si riflettono anche sull’editoria e, analogamente a quanto accade in Germania, Francia e Inghilterra, anche quella italiana comincia a fiorire, guidata dall’ascesa di una borghesia in cerca di contenuti. Il 1808, anno della fondazione di Casa Ricordi, vede l’istituzione, sul modello del Conservatoire di Parigi, del Conservatorio di Musica di Milano. I tempi quindi erano in un certo senso maturi per un’impresa simile; non si trattava tanto di concepire l’idea di una casa editrice, quanto piuttosto, cogliendo i segni del tempo, di realizzarla concretamente. Giovanni Ricordi è un genio imprenditoriale e un uomo coraggioso: nell’estate del 1807 si reca a Lipsia presso la Breitkopf & Härtel, l’affermata casa tedesca di edizioni musicali, per impratichirsi nelle tecniche di stampa musicale, e fa successivamente ritorno a Milano portando con sé un torchio calcografico. Il 16 gennaio 1808, insieme all’incisore e negoziante di musica Felice Festa, fonda la casa editrice Ricordi. I locali si trovano in Contrada di Pescaria Vecchia, nelle vicinanze del Duomo e, nonostante i ripetuti spostamenti, la direzione di Casa Ricordi rimarrà sempre in questa zona. L’atto originale della fondazione, che riporta la data «Milano questo dì Sabbato 16 Gennajo 1808» e le svolazzanti firme dei due soci, parla della fondazione di una «stamperia di musica», che impiegherà sia la tecnica dell’incisione che quella della stampa (impressione).
Festa tuttavia lascia la ditta nel giugno dello stesso anno e da quel momento Giovanni Ricordi prosegue autonomamente. Il mercato musicale in cui si trova a operare è dominato dai teatri e dagli impresari teatrali, ai compositori non viene riconosciuto il diritto d’autore, ma unicamente il compenso alla prima cessione dello spartito. Stefano Baia Curioni, nel suo Mercanti dell’Opera, descrive il sistema di produzione teatrale che di lì a poco Ricordi avrebbe contribuito a stravolgere in modo radicale:
Nei primi cinquant’anni dell’Ottocento, la prassi prevalente prevede che le opere vengano composte su commissione dei singoli impresari, ogni anno nuove, e pagate al compositore con anticipi e con il saldo alla consegna. Le partiture sono di competenza (la nozione di proprietà è sfumata) dell’impresario committente, che eventualmente ne garantisce la diffusione tramite rapporti con i colleghi. Ogni volta che l’opera è rappresentata, l’attività di trascrizione e riduzione in parti dello spartito originale è affidata a copisti, ai quali viene sovente chiesto di riarrangiare le sue diverse parti sulla base delle esigenze che di volta in volta possono manifestarsi. […] I copisti poi, in cambio del loro lavoro, acquisiscono il diritto di comporre e commercializzare spartiti per canto e pianoforte o riduzioni delle opere trascritte vendendole localmente. Non è un diritto facile da proteggere: basta un musicista esperto che assista più volte alle rappresentazioni per trascrivere di nascosto e poi diffondere le arie principali. Nulla di questa attività di mediazione e diffusione della musica copiata o stampata torna al compositore originario, il cui reddito è quindi legato alla sua capacità di scrivere opere nuove ogni anno. […] È una musica che, dunque, si concepisce come 'sempre nuova' e rinnovabile all’infinito4.
Sarà lo stesso Verdi, nel 1851, a criticare l’operato degli impresari.
Questi impresari non hanno ancora capito che quando le opere non si possono dare nella loro integrità, come sono state ideate dall’autore, è meglio non darle; non sanno che la trasposizione di un pezzo, di una scena è quasi sempre la causa del non successo d’un’opera. Immaginati quando si tratta di cambiare argomenti!! 5
Giovanni Ricordi operava in questo scenario e fu proprio con lo sviluppo della sua attività di copista prima e di editore musicale poi che, nell’arco di appena due decenni, rivoluzionò il modo di intendere l’editoria musicale.
Ricordi convertì una copisteria in un archivio, un archivio in una casa editrice, una casa editrice in un monopolio quasi totale della produzione teatrale dei compositori italiani6.
Gabriele Dotto racconta la grande intuizione di Giovanni nel contesto più generale della razionalizzazione degli archivi musicali, a quell’epoca sparpagliati fra teatri, impresari e copisterie:
Viene attribuita a un copista musicale milanese, Giovanni Ricordi, l’idea di costituire un ampio catalogo, costruito non solo sulle opere affidate alla sua copisteria (ebbe l’idea ingegnosa di aggiungere una clausola ai suoi contratti con i teatri per la quale, terminate le rappresentazioni di un’opera, tutto il materiale d’esecuzione da lui copiato sarebbe rimasto di sua proprietà) ma anche acquistando archivi esistenti. Da qui, il concetto di un grande archivio a disposizione di qualsiasi teatro e, man mano, della consolidazione di un "repertorio" di base. Quando nel 1808 Ricordi intraprese l’attività editoriale, avrebbe preteso anche la proprietà delle partiture autografe. Era l’inizio di una vera e propria “industria” editoriale moderna, e segnò una svolta determinante: la proprietà di un’opera passò dall’impresario all’editore; o meglio, anche l’editore divenne di fatto un impresario7.
Questo passaggio fu ovviamente graduale e arrivò a piena maturazione solo nella seconda metà dell’Ottocento. La prassi precedente prevedeva che l’autografo rimanesse nelle mani dell’impresario committente, il compositore riceveva un compenso per la composizione ma nessuna percentuale sulle successive rappresentazioni derivanti dal noleggio della composizione ad altri teatri. L’intuizione di Giovanni Ricordi di costituire un catalogo conservando le partiture originali per poi noleggiare il materiale d’esecuzione permise la graduale creazione di un commercio redditizio e finì con il tutelare i compositori che nell’epoca precedente, dominata dagli impresari teatrali e inquinata da una pirateria diffusa, non godevano dei diritti derivanti dalle rappresentazioni ed erano sostanzialmente indifesi dagli usi impropri delle loro creazioni, fatto reso ancor più marcato dalla mancanza di una vera e propria legge a tutela del diritto d’autore.
Il noleggio di copie ai teatri fu quindi l’attività primaria delle edizioni Ricordi. Nel corso degli anni Giovanni ottenne dal Teatro alla Scala delle condizioni via via più generose per la diffusione del materiale musicale. Ben presto queste concessioni vennero svincolate dalla stipula di singoli contratti. La sua posizione nei confronti dei teatri diventò sempre più forte, parallelamente alla crescita dell’archivio. Nel 1825, infine, la Scala gli cedette il fondo completo in suo possesso. Giovanni lo acquistò per 300 lire austriache, con la clausola che avrebbe ridotto le tariffe di noleggio, diventando responsabile della produzione delle partiture per il teatro e titolare dei diritti di stampa relativi a esse. Nello stesso anno vede la luce il Gran Catalogo con circa 2500 edizioni, in cui si accenna per la prima volta alle filiali aperte da Ricordi in luoghi strategici: a Firenze (Via de' Calzajoli) e a Londra (Piccadilly).
Quando Verdi incontra per la prima volta Giovanni Ricordi negli anni Trenta, quest’ultimo è già un editore affermato, grazie a un archivio che è cresciuto senza sosta e agli accordi di copisteria con i principali teatri, primo tra tutti la Scala. È Bartolomeo Merelli, l’impresario del celebre teatro milanese e amico di Giovanni, a lanciare l’esordiente Verdi con l’opera Oberto, Conte di San Bonifacio, il 17 novembre 1839. Il successo è buono, tale da garantirgli la commissione di altre tre opere. Ricordi acquisisce i diritti di rappresentazione per tutti i paesi del mondo a fronte di un pagamento di 2000 lire austriache e senza corrispondere percentuali all’autore. Verdi se ne lamenterà prontamente in una lettera.
Bisogna considerare che Verdi era allora un compositore promettente, ma non godeva ancora di quello status artistico che di lì a poco avrebbe conquistato, il rapporto con l’editore fu quindi caratterizzato da «una sproporzione e da un confronto che il maestro subisce, ma non perdona»8. Questo squilibrio venne ribadito poco dopo con il fiasco dell’opera buffa Un giorno di regno, composta in un momento assai tragico della vita del maestro, segnato dalla morte dei due figli e della moglie Margherita Barezzi, rappresentata il 5 novembre 1840 senza repliche. Ricordi, coerentemente con le regole economiche che muovevano la sua attività, seppur consapevole delle potenzialità del giovane Verdi, non retribuì minimamente il compositore. Sei anni dopo però, in seguito a un inaspettato successo di Un giorno di regno a Venezia, ne acquisì prontamente i diritti della rappresentazione da Merelli, senza corrispondere alcun compenso a Verdi.
La 'vendetta' di quest’ultimo arriverà nel 1843 con il successo trionfale di Nabucco: Verdi cede infatti metà dei diritti di rappresentazione all’acerrimo rivale di Ricordi, ovvero Francesco Lucca, l’editore italiano di Richard Wagner. L’opera ha subito un successo enorme, solo alla Scala viene replicata ventisei volte. I due editori si intentano causa per la titolarità dei diritti del libretto. Verdi capisce di aver bisogno di un partner unico e affidabile e decide di affidarsi a Ricordi, che però deve pagare un prezzo molto caro. Da quel momento in avanti i contratti stipulati segnano non solo il crescente successo di Verdi e il relativo potere contrattuale che ne scaturisce ma, cosa ancor più importante, l’investimento che l’editore fa nel compositore. I dati parlano chiaro: se si guarda ai contratti custoditi nell’Archivio Storico Ricordi, si può osservare che nel periodo tra il 1839 e il 1860 tra le 27 opere remunerate da Ricordi, ben 19 sono di Verdi. Se si guarda poi ai minimi garantiti corrisposti ai compositori il dato si fa ancora più forte: le opere di Verdi rappresentano quasi il 90% dell’investimento economico dell’editore, una concentrazione del rischio giustificata dal successo esplosivo del compositore. Un successo che l’editore aveva perfettamente intuito e che gli permise di operare un’espansione della propria attività che assunse tratti monopolistici.
Ricordi trovò in Verdi il suo campione d’incassi, e grazie a lui riuscì a compiere la propria maturazione di editore, sbaragliò i concorrenti a livello nazionale e si vide catapultato sulla scena musicale internazionale. Il mondo culturale internazionale accolse con entusiasmo le opere di Verdi, come testimoniano i cartelloni teatrali dell’Ottocento. La domanda crebbe in maniera vorticosa, tanto da richiedere la mediazione dell’editore. Verdi dal canto suo era uomo attento alle finanze, in netta antitesi con l’immaginario romantico che vorrebbe l’artista dedito esclusivamente alla creazione. Imparò rapidamente a tutelare i propri interessi, trattando in prima persona con l’editore, evitando intermediazioni, esplicitando nei contratti le modalità di pagamento e riservandosi l’ultima parola sugli interpreti e sulle modalità delle prove. Testimonianze, queste, di una sensibilità imprenditoriale ma anche di quel minuzioso e intransigente controllo artistico che Verdi esercitava con attenzione quasi ossessiva non solo sui modi di diffusione ed esecuzione delle sue musiche ma, cosa meno scontata, sul prodotto-opera nel suo complesso. Era consapevole che il successo dell’opera dipendeva non solo dalla musica ma, in buona parte, dalla qualità degli allestimenti, dalla bravura dei cantanti, dalla professionalità dei teatri ospitanti.
Mi vien da ridere quando leggo, o sento dire “un effetto che l’autore non s’era immaginato”! Poveri innocenti! Per quelli che non conoscono né canto né orchestra può darsi, ma per me non ho mai trovato né cantante né orchestra che m’abbiano reso tutto quello che domandavo 9.
L’intransigenza di Verdi non risparmiava neanche i direttori d’orchestra:
Sulla divinazione dei Direttori, e sulla creazione ad ogni rappresentazione ... quest’è un principio che conduce addirittura al barocco ed al falso. È la strada che condusse al barocco ed al falso, l’arte musicale, alla fine del secolo passato, e nei primi anni di questo, quando i Cantanti si permettevano creare [...] le loro parti, e farvi, in conseguenza, ogni sorta di pasticci e di controsensi. Nò: io voglio un solo creatore, e mi accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che è scritto10.
La mole di noleggi delle opere verdiane rese impossibile il controllo personale diretto su tutto, il che rese ancor più necessaria l’intermediazione di Ricordi nella gestione, a livello globale, del fenomeno Verdi. Il pubblico vuole Verdi, le sue opere sono richieste dai teatri di tutto il mondo, con la sola eccezione dell’Estremo Oriente. Si tratta di un successo senza precedenti nel panorama operistico italiano. Con Jerusalem il rapporto tra i due si fa ancora più strutturato.
Da questo momento […], Verdi non chiederà più somme una tantum, ancorché crescenti, per la semplice cessione dei diritti sull’opera composta ma parteciperà agli utili generali dai noli e dalle vendite per i primi dieci anni. Inoltre, il diritto non sarà necessariamente ceduto per tutti i paesi, ma di volta in volta concesso con eccezioni a seconda delle convenienze e degli accordi con altri editori. Verdi e Ricordi passano da un rapporto di fornitura a un rapporto di partecipazione11.
Ricordi, forte del rapporto privilegiato con Verdi e della richiesta frenetica delle sue opere, impone ai teatri rigidi standard qualitativi per l’allestimento delle opere, un severo controllo della qualità, riservandosi nei contratti il diritto di ritirare gli spartiti se non soddisfatto delle prove, il diritto di scegliere cantanti e maestri concertatori. L’editore sostituisce progressivamente le competenze che prima erano degli impresari, andando così a stravolgere il sistema della produzione teatrale e dell’editoria musicale. I documenti dell’Archivio Storico Ricordi testimoniano questa attenta attività di supervisione: i materiali iconografici legati alle rappresentazioni, bozzetti e figurini in primis, erano spesso riprodotti fedelmente e inviati in faldoni ai teatri che noleggiavano l’opera, in modo tale da metterli in condizione di replicare l’allestimento della prima. Si evince che il 'prodotto opera' era giustamente trattato da Ricordi nella sua natura di prodotto artistico complesso (frutto cioè del concorso di professionalità diverse) e seriale.
Il mutato sistema di produzione poneva al centro l’autorialità del compositore, difendendola strenuamente. Si tratta di una svolta importante: i mutamenti introdotti da Ricordi ebbero ripercussioni decisive non solo sull’assetto produttivo legato alle opere e alla loro diffusione nei teatri ma anche nel modo di lavorare dell’artista: non più pressato dalle consegne continue di musiche ai teatri, come era stato ad esempio per Donizetti anni prima, il compositore poteva selezionare e sviluppare i propri progetti artistici con più calma e attenzione. Da 'manovalante', il compositore divenne autore delle sue musiche. Con la graduale ma inarrestabile introduzione del diritto d’autore, si gettarono le basi dei cosiddetti 'repertori', l’obiettivo era creare opere forti e durature che permettessero all’editore di capitalizzare i propri investimenti. Lo dirà lo stesso Verdi: «quando io scrivevo molto, le opere si pagavano poco; adesso che si pagano bene, non scrivo quasi più»12.
Se già Giovanni Ricordi è un partner affidabile, è nel nipote Giulio, direttore della ditta dal 1888 fino all’inizio del Novecento, che Verdi trova il suo alter ego commerciale, in un dialogo privilegiato nel quale le tematiche commerciali sono parte di una progettualità condivisa ben più ampia. Tra i due il rapporto assunse i tratti di una amicizia educata, mossa dalla stima reciproca. Lo testimonia la ricca corrispondenza, uno scambio che valicò gli aspetti meramente legati al lavoro per toccare i temi più disparati, a dimostrazione del fatto che Giulio aveva la sensibilità giusta per sviluppare pragmaticamente le intuizioni artistiche del Maestro. Lo si evince, ad esempio, da una bellissima lettera di Verdi a Giulio in cui commenta la scelta di Antonio Ghislanzoni come librettista di Aida:
Rileggo sempre il scenario d’Aida. Veggo alcune note di Ghislanzoni, che mi fanno (sia detto fra noi) un pò paura, e non vorrei che per evitare pericoli immaginarj si finisse a dire quello che non stà nella situazione e nella scena; e non vorrei altresì si dimenticassero le parole sceniche. Per parole sceniche io intendo quelle che scolpiscono una situazione od un carattere, le quali sono sempre anche potentissime sul pubblico. So bene che talvolta è difficile darle forma eletta e poetica. Ma … (perdonate la bestemmia) tanto il poeta che il Maestro devono avere al caso il talento ed il coraggio di non fare né poesia né musica … Orrore! Orrore! Basta: vedremo. In ogni modo Voi siete per mettervi in mezzo … 13
Il documento, oltre a dire molto della drammaturgia di Verdi, dice molto del rapporto con Giulio. È lui infatti che dovrà agire da intermediario con il librettista, mettendosi per l’appunto «in mezzo» e praticando le sue doti diplomatiche nel trattare con 'l’orso' di Busseto.
Il rapporto tra i due addirittura si invertirà quando nel 1887 Giulio ideò un piano finanziario per trasformare la Casa da azienda di famiglia in società in accomandita. Temendo che il padre Tito non approvi il progetto, si rivolge a Verdi chiedendogli di parlare con lui e di appoggiare l’operazione con un prestito di 200.000 lire. Verdi accetta volentieri e partecipa attivamente alla trattativa che si conclude nello stesso anno. Il fatto dimostra quanto Verdi fosse legato alle sorti di Ricordi.
Giulio vantava una notevole cultura musicale, essendo lui stesso compositore con il bizzarro pseudonimo di Jules Burgmein. Le sue conoscenze musicali gli permettevano di dialogare con Verdi 'ad armi pari': le virgolette sono d’obbligo perché all’epoca il Maestro era già una specie di monumento nazionale, ed era considerato il più grande compositore operistico della sua epoca. Giulio discuteva con Verdi dei dettagli produttivi e partecipava direttamente alla scelta degli esecutori e degli aspetti relativi agli allestimenti. Nella misura in cui a rappresentare un’opera era la casa editrice e non il teatro, anche la sua produzione, in quanto parte del 'prodotto' nel suo complesso, viene considerata un elemento da tutelare. La figura dell’editore-impresario, incarnata in modo esemplare da Giulio Ricordi, accanto alla tutela dei diritti su musica e testo, assegnò all’editore anche il compito di vigilare sulla messinscena, l’allestimento e il cast degli interpreti. L’idea della mise-en-scène veniva dalla Francia, Giulio Ricordi la riprese, a partire dalla presentazione dei Vêpres Siciliennes a Parigi il 13 giugno 1855, e la sviluppò nelle cosiddette disposizioni sceniche.
Una lettura, anche superficiale delle disposizioni sceniche (cui sovente si dedica lo stesso Giulio) è indicativa della cura, dell’acribia, dell’attenzione quasi ossessiva per le scenografie, i costumi, i movimenti delle comparse e dei cantanti, le gestualità, le atmosfere emotive. […] Un lavoro compiuto dai compositori stessi, che ne registra le intuizioni e le visioni, ma a cui, come emerge dalle testimonianze, con ogni probabilità partecipa anche l’editore14.
Nell’Archivio Storico Ricordi sono conservati gli originali, in parte autografi, di numerose disposizioni sceniche. Alcune sono in diversi volumi, destinati alle varie persone coinvolte nella produzione: il direttore d’orchestra, il sarto, il direttore di scena. I documenti oltre a permettere di ricostruire virtualmente l’allestimento dell’opera e i movimenti in scena, raccontano oggi della cura maniacale nel gestire un prodotto artistico sinergico e potenzialmente seriale come l’opera lirica, cercando di fissare altissimi standard qualitativi.
Celebrare nel 2013 il secondo centenario della nascita di Verdi significa pertanto ripercorrere quel particolare rapporto editore-compositore testimoniato dal fittissimo scambio epistolare pervenutoci da ambo i fronti: le lettere di Verdi ai Ricordi, come quelle degli editori al Maestro, ci permettono di ridisegnare una vicenda affascinante, dove il lato commerciale, si sposa con un più vasto orizzonte tematico di interessi, affinità e sensibilità. Il corpus di materiali custoditi dall’Archivio Storico Ricordi rappresenta un affascinante oggetto di analisi per indagare un sodalizio che, dopo oltre un secolo, rappresenta uno dei casi più affascinanti e significativi nella storia dell’arte e delle industrie creative, un meraviglioso cortocircuito di istanze artistiche e fattori commerciali.
Nota al testo
Il tema di questo contributo è stato trattato dettagliatamente da Stefano Baia Curioni nel libro Mercanti dell’Opera, frutto di un’indagine approfondita nell’Archivio Storico Ricordi. Il libro rappresenta un ‘viaggio’ essenziale per comprendere la carriera di Giuseppe Verdi e la storia dell’editore Ricordi.
1 P. Petrobelli, Celeste Aida: percorso storico e musicale tra passato e futuro, Milano 2006.
2 F. Degrada, prefazione a Giuseppe Verdi: l’uomo, l’opera, il mito, a cura di F. Degrada, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale), Milano 2000, p. 5.
3 M. Conati, Il sistema teatrale, in Giuseppe Verdi: l’uomo, l’opera, il mito, cit., p. 25
4 S. Baia Curioni, Mercanti dell’Opera, Milano 2011, pp. 62-63.
5 Lettera a Vincenzo Luccardi, 1° dicembre 1851.
6 Ph. Gossett, Dive e maestri, Milano 2009, p. 124.
7 G. Dotto, Verdi e l’editoria, in Giuseppe Verdi: l’uomo, l’opera, il mito, cit., p. 97.
8 S. Baia Curioni, Mercanti dell’Opera, cit., p. 104.
9 Lettera a Giulio Ricordi, 5 febbraio 1871.
10 Lettera a Giulio Ricordi, 11 aprile 1871.
11 S. Baia Curioni, Mercanti dell’Opera, cit., p. 107.
12 Lettera a Giulio Ricordi, 25 dicembre 1882, in Carteggio Verdi - Ricordi 1882-1885, Istituto Nazionale di Studi Verdiani, Parma 1994.
13 Lettera a Giulio Ricordi, 10 luglio 1870.
14 S. Baia Curioni, Mercanti dell’Opera, cit., p. 116.