Qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specialmente in situazioni di necessità. In economia si parla di risorse naturali, fornite dalla natura, e non naturali, frutto del lavoro dell’uomo o del lavoro umano combinato con le risorse naturali; particolare rilievo hanno assunto i problemi legati alla disponibilità e allo sfruttamento controllato delle principali risorse naturali.
Le risorse naturali sono rappresentate da tutte le fonti alimentari, minerarie, idriche ed energetiche immediatamente disponibili sulla Terra per l’uomo e a lui utili. L’insieme delle risorse naturali, inoltre, si può suddividere in due grandi categorie, quelle rinnovabili e quelle non rinnovabili. Tra le prime rientrano l’energia geotermica, quella solare, le onde, il vento o le acque correnti; si possono considerare risorse rinnovabili anche i terreni agricoli, quelli forestali e i prodotti della pesca. Le risorse non rinnovabili sono quelle presenti in quantità finite o che hanno periodi di riformazione non inquadrabili con quelli che sono i tempi umani. Rientrano tra queste risorse i minerali, i carboni fossili, il petrolio, il gas naturale.
Risorse alimentari La sopravvivenza dell’umanità è strettamente condizionata dalle risorse biologiche (vegetali, animali, microrganismi e anche il suolo, inteso in senso proprio, pedologico), dalle quali, tra l’altro, derivano tutte le risorse alimentari. Solo una corretta gestione di tali risorse biologiche e di certi componenti naturali ‘non viventi’ della biosfera (in particolare acque, molti sali minerali, gas atmosferici) può preservare l’equilibrio degli ecosistemi (terreni agricoli, pascoli, foreste, ambienti acquatici pescosi ecc.), grazie ai quali sopravvivono sul pianeta, nel 2009, oltre 6,7 miliardi di esseri umani. La crescente pressione sull’ambiente planetario (maggiori rischi di inquinamento, minore disponibilità di acqua potabile in vaste aree del globo, propensione a usare in maniera depredatoria le risorse biologiche, uso intensivo dei pascoli, deforestazione, desertificazione, estinzione di alcune specie botaniche e animali che rappresentano anelli essenziali di determinate catene alimentari o che contribuiscono all’equilibrio di alcune nicchie ecologiche) rappresenta un fattore di alto rischio sulla produzione di alimenti. La sovrappopolazione, soprattutto nel Terzo Mondo, ha neutralizzato gran parte dei vantaggi derivanti dall'accresciuta produzione di risorse alimentari. Nonostante la possibilità teorica di poter recuperare ai fini agricoli ca. 90 milioni di ettari di terra incolta, soprattutto nell'area subsahariana e nell'America Meridionale, rimane incerto il decollo dell'agricoltura, soprattutto in mancanza di capitali e di credito da parte degli agricoltori.
Test condotti dalla FAO in diversi paesi in via di sviluppo a partire dal 2000 hanno dimostrato che si può aumentare la resa produttiva fino a un 30% mediante la gestione integrata delle colture (ICM, integrated crop management) e migliori tecniche di coltivazione. L’ICM e il miglioramento delle tecniche colturali sembrano dunque essere la chiave per ottenere, incrementando la produzione e tutelando al contempo le risorse naturali, uno sviluppo agricolo che sia sostenibile dal punto di vista ambientale.
Risorse energetiche A livello mondiale, il dibattito sulle fonti di energia da utilizzare nel prossimo futuro si indirizza su due tendenze contrapposte: una che punta su risorse rinnovabili, sia tradizionali (idraulica, geotermica) sia nuove (solare, eolica, geotermica a bassa entalpia, biomasse), l’altra che considera l’utilizzo dei combustibili fossili o nucleari come unica prospettiva praticabile. In effetti, mentre le prime tardano ancora ad affermarsi a causa degli elevati costi, le seconde, e in particolare i combustibili fossili, soddisfano circa il 90% del fabbisogno energetico mondiale (➔ energia).
Risorse idriche L’acqua presente sulla crosta terrestre è molto abbondante; tuttavia, gran parte di essa è inaccessibile o per altri motivi non disponibile, e il rimanente è irregolarmente distribuito sia da zona a zona, sia fra una stagione e l’altra. È stato valutato che l’acqua, nei suoi vari stati fisici, è presente in natura in una quantità valutabile attorno a 1350×106 km3, dei quali gran parte (ca. il 94%) sono contenuti nei bacini oceanici. La circolazione dell’acqua in natura costituisce un ciclo continuo che interessa l’atmosfera, la superficie del suolo, il sottosuolo e gli oceani; l’acqua, infatti, evaporando da questi ultimi forma delle nubi che, spostandosi verso i continenti, danno luogo a precipitazioni che cadono in gran parte in mare e in misura minore sulle terre emerse.
Del quantitativo di acqua che cade sui continenti circa il 64% viene temporaneamente intercettato e trattenuto dalle piante e dal suolo; questo quantitativo ritorna però all’atmosfera attraverso i processi di evaporazione e traspirazione. Della restante parte, il 25% scorre sulla superficie del suolo sotto forma di ruscellamento diffuso o concentrato, di torrenti e di fiumi per giungere infine al mare, e l’11% si infiltra nel sottosuolo, a costituire falde acquifere sotterranee, suscettibili di riemergere, di alimentare laghi e fiumi o di passare direttamente al mare. In complesso, le riserve di acqua dolce del globo ammontano a più di 37 milioni di km3: più dei tre quarti di quest’acqua sono però rappresentati da ghiacciai e dai ghiacci polari; quasi tutto il resto si trova nelle falde acquifere sotterranee, mentre circa l’1% del totale è rappresentato dalle acque dei laghi e dei fiumi e dal vapore acqueo dell’atmosfera che costituiscono, insieme alle acque presenti nel sottosuolo, le maggiori fonti di approvvigionamento per l’uomo. In un anno, l’evaporazione d’acqua (compresa anche la traspirazione delle piante) raggiunge all’incirca i 500.000 km3, dei quali 430.000 km3 vengono dai mari e i restanti 70.000 km3 dall’evaporazione delle acque interne dei continenti. Questi ultimi ne ricevono 110.000 km3 con le precipitazioni: di conseguenza, il risultato netto del ciclo idrologico è di trasferire approssimativamente 40.000 km3 di acqua dolce dagli oceani ai continenti. Questo apporto è sfruttabile da parte dell’uomo solo in quantità minime; la maggior parte infatti si perde sia per le inondazioni sia perché viene trattenuto nel suolo o in acquitrini. Di conseguenza, il massimo che si possa impiegare per scopi umani è valutabile in circa 14.000 km3 all’anno. Di questa massa d’acqua potenzialmente sfruttabile, circa 5000 km3 scorrono in regioni disabitate in quanto climaticamente inadatte all’insediamento umano: restano perciò 9000 km3 all’anno, che dovrebbero rappresentare le risorse idriche effettive del mondo.
La programmazione per la salvaguardia e l’utilizzazione ottimale delle risorse idriche rappresenta un problema di grande rilevanza, dato che l’acqua costituisce un patrimonio naturale che non può essere sprecato. Per l’utilizzazione delle risorse idriche bisogna quindi prendere in considerazione le strutture sociali ed economiche dei vari paesi e in particolare: a) il fabbisogno idrico medio per abitante, tenendo conto non solo della consistenza numerica della popolazione, ma della sua distribuzione territoriale e in particolare del livello di urbanizzazione; b) il fabbisogno idrico medio per ettaro coltivato e per unità di prodotto industriale finito.
Le modalità dell’utilizzazione delle risorse idriche vengono definite da 3 parametri: il consumo irreversibile, l’immissione di acque inquinate e l’entità del prelievo. Il consumo irreversibile è costituito dall’acqua prelevata e non restituita a valle, e quindi provvisoriamente sottratta al ciclo generale dell’acqua: è il caso dell’acqua adibita all’irrigazione, che in gran parte si converte in evapotraspirazione, oppure di quella usata nei cicli di raffreddamento di varie lavorazioni industriali, che si disperde in gran parte nell’atmosfera sotto forma di vapore. Le acque di scarico inquinate, prima di essere reimmesse nei corpi idrici di superficie, dovrebbero essere depurate: ciò avviene, tuttavia, solo per la metà delle acque di scarico mondiali, soprattutto nei paesi industrializzati.
I prelievi di acqua si sono accresciuti enormemente nel corso del 19° e del 20° sec., raggiungendo nei primi anni del 21° sec. il valore di 4000 km3 all’anno. Secondo studi FAO, le previsioni per l’anno 2025 indicano che 1,8 miliardi di persone si troveranno a vivere in paesi o regioni con assoluta mancanza di acqua, e oltre due terzi dell’intera popolazione mondiale potrebbero trovarsi a fronteggiare una condizione di scarsità di acqua (v. fig.). Tale allarmante prospettiva ha indotto la comunità internazionale a istituire un forum permanente (World water forum, che riunisce ogni 3 anni partecipanti da 192 diversi paesi) che, in linea con i principi espressi nella Conferenza di Dublino sull’acqua e sull’ambiente (1992) e nell’Agenda 21 (1992), e successivamente confermati nella dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (2000), detta Millennium declaration, promuove azioni per uno sfruttamento sostenibile delle risorse idriche nel rispetto dell’integrità degli ecosistemi. Tali azioni sostengono parimenti lo sviluppo di tecnologie finalizzate all’utilizzazione efficiente della risorsa e, dal punto di vista economico, la diffusione di un sistema di gestione delle acque dolci incentrato sulla definizione del loro valore sostenibile attraverso un parametro di costo che includa anche le esternalità ambientali.
Benefici sono attesi, per quanto riguarda l’agricoltura, dalle applicazioni delle biotecnologie (il fabbisogno per usi irrigui rappresenta nei paesi in via di sviluppo circa il 70% del fabbisogno idrico complessivo), e, soprattutto, dall’impiego di tecniche di coltivazione che aiutino a far raccogliere una maggiore quantità di acqua piovana, ridurre gli sprechi nell’irrigazione e aumentare la produttività. Applicazione sempre maggiore trova inoltre la riutilizzazione, anche per scopi irrigui, di acque di scarico precedentemente sottoposte a opportuni trattamenti depurativi (comprendenti anche uno stadio finale di disinfestazione capace di conferire all’acqua trattata una elevata qualità microbiologica). Anche la diffusione dei sistemi di telerilevamento da satellite dovrebbe avere ricadute positive sulla gestione delle risorse idriche, particolarmente nei paesi in via di sviluppo.
Risorse minerarie. Sono tutte le sostanze naturali non viventi utili all’uomo, sia organiche sia inorganiche. Rientrano quindi tra esse tutti i solidi cristallini naturali (➔ giacimento), i combustibili fossili come il petrolio e i gas naturali (➔ idrocarburi; petrolio), ma anche le acque terrestri e i gas atmosferici. Le risorse minerarie possono essere in linea generale suddivise in risorse di minerali metallici e non metallici e, nell’ambito di queste, una ulteriore suddivisione può essere fatta in base alla loro utilizzazione e alla loro abbondanza sulla crosta terrestre. Nel primo gruppo rientrano tra i metalli abbondanti il ferro, l’alluminio, il cromo, il manganese, il titanio e il magnesio, mentre tra quelli rari il rame, il piombo, lo zinco, lo stagno, il wolframio, l’oro, l’argento, il platino, l’uranio, il mercurio, il molibdeno. Tra i minerali non metallici è possibile distinguere 4 gruppi in base al loro uso: cloruro di sodio, fosfato di calcio e zolfo, che sono di primaria importanza nelle industrie chimiche e dei fertilizzanti; sabbia, ghiaia, pietrisco, gesso e cementi, che vengono usati come materiali da costruzione; carbone, petrolio e gas naturali, che rappresentano le più comuni fonti di energia; l’acqua, che costituisce la risorsa mineraria più importante, senza la quale non avrebbe sviluppo l’agricoltura né sarebbero operanti le industrie.
Tradizionalmente sono rappresentate in senso generico da 3 elementi: lavoro, capitale e terra. Il lavoro è costituito da tutte le attività umane manuali e non manuali rivolte alla produzione e allo scambio di beni e servizi che soddisfano bisogni diversi. Il capitale è invece costituito dall’insieme dei servizi resi dalle attrezzature, dalle macchine, dagli strumenti produttivi, dagli impianti, dagli edifici e da tutti gli altri beni fisici costruiti dall’uomo e che, affiancati ai servizi resi dalla terra e dal lavoro umano, sono utilizzati per produrre altri beni. Si intende genericamente per terra l’insieme delle risorse naturali, tratte direttamente dalla natura per essere utilizzate all’interno dei processi di produzione allo scopo di produrre altri beni e servizi utili al soddisfacimento di bisogni umani. La distinzione fra questi tipi di risorse non è comunque netta: così, per es., l’attività di un lavoratore può essere definita come capitale umano, anziché come semplice lavoro, in riferimento al suo livello di professionalità e al suo grado di specializzazione.
Tutte le risorse economiche hanno una caratteristica comune: sono scarse relativamente all’ammontare di beni e servizi che gli esseri umani da esse vorrebbero trarre per soddisfare i propri bisogni. Ciò pone la necessità di allocarle in maniera ottimale fra i diversi usi, ossia di impiegarle nel modo migliore fra le varie destinazioni possibili (per la produzione di merci, per il consumo). La disponibilità delle risorse naturali non è necessariamente fissa nel tempo, ma può modificarsi (come avviene per l’uso del terreno ma anche dell’aria o dell’acqua) in funzione dell’intensità di sfruttamento operata dall’uomo e anche a seguito di nuove scoperte. Il problema dell’allocazione delle risorse in tal caso non riguarda più soltanto il consumo dello stock fisso di risorse disponibili, ma anche la distribuzione del consumo delle risorse nel tempo in relazione alla loro disponibilità variabile.
Lo sviluppo della società umana è da sempre indissolubilmente legato alla disponibilità di risorse specifiche e, storicamente, la loro abbondanza ha condizionato non solo le possibilità di sviluppo economico e sociale, ma il numero stesso di individui in grado di vivere sul pianeta. Dunque la storia delle risorse descrive e comprende la storia stessa dell’umanità e le modalità dello sfruttamento e dell’utilizzo delle risorse rispecchiano le varie fasi dello sviluppo umano.
Sia il concetto di risorse sia le modalità del loro utilizzo sono andati profondamente modificandosi nel tempo, a partire dall’uomo primitivo, che per sopravvivere doveva dare la caccia agli animali, per arrivare a forme socio-economiche più evolute, legate alla scoperta della coltivazione della terra e alla raccolta dei beni che da essa derivano. L’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento determinano la prima grande rivoluzione della società umana: l’uomo non si limita più a utilizzare le risorse che la natura gli offre ma è in grado di produrre le risorse di cui necessita. Il rapporto uomo-terra diventa sempre più stretto e le comunità umane sentono il bisogno di insediarsi stabilmente in luoghi sicuri e protetti. Da quel momento si assiste a una moltiplicazione e a un uso sempre più efficiente delle risorse: in particolare, la costruzione e l’utilizzo di arnesi da lavoro consentono il progressivo aumento della produttività delle risorse stesse. Tale aumento di produttività si manifesta per tutte le risorse economiche: il lavoro, il capitale e la terra traggono miglioramento dal continuo progresso tecnico, dall’accumulazione di capitale, dalla qualità della forza lavoro.
La moltiplicazione delle risorse può essere messa in evidenza utilizzando alcuni indicatori: così, il rendimento della produzione del grano passa dal valore di 3-4 unità di grano prodotto per unità di grano seminato dell’epoca della Roma imperiale al valore di 30-40 di oggi; mentre nel passato occorrevano da 1 a 2 ha coltivati per dare cibo a una persona, oggi occorre coltivare meno di un decimo di tale superficie. In epoca rinascimentale occorrevano quasi 10.000 ore di lavoro per produrre un quintale di ferro, oggi ne occorrono poche decine. I costi espressi dal rapporto ore/lavoro sono andati via via decrescendo a ritmi sostenuti. Il culmine del processo di trasformazione delle tecniche si raggiunge con la rivoluzione industriale, iniziata in Inghilterra nel 18° secolo. Da quel momento l’uomo si svincola definitivamente dall’equilibrio ecologico con il suo ambiente naturale e lo subordina ai suoi bisogni: questo ribaltamento si realizza attraverso la coltivazione intensiva della terra, l’irrigazione, la concimazione, la rotazione delle colture, la difesa dai parassiti, l’addomesticamento degli animali da lavoro, ma anche attraverso lo sfruttamento delle fonti di energia (dalla scoperta della macchina a vapore, al motore a scoppio, fino agli oleodotti, ai gasdotti, alle perforazioni in mare aperto e allo sfruttamento dell’energia nucleare) e dei materiali (lavorazione della pietra, del legno, delle fibre tessili, del vetro, fino ad arrivare alle fibre chimiche e ai diversi prodotti di sintesi).
I processi di moltiplicazione delle risorse alimentari, materiali ed energetiche, unitamente al miglioramento delle condizioni di vita della società umana, hanno avuto effetti esplosivi sulla crescita della popolazione mondiale, passata dai circa 5 milioni di 10.000 anni fa, ai 100 milioni dell’età romana, fino ai 6,6 miliardi attuali con previsioni di ulteriore crescita esponenziale per i prossimi decenni. Parallelamente, la vita media è aumentata in modo costante nei paesi più avanzati passando dai 20 anni dell’epoca della fondazione di Roma, ai 35 del Rinascimento, agli oltre 70 di oggi. Conseguenze fondamentali dell’impiego di sempre nuove risorse sono state inoltre l’aumento dell’istruzione e la drastica diminuzione dell’analfabetismo nei paesi industrializzati, la crescita della creatività umana e lo sviluppo continuo delle conoscenze soprattutto scientifiche e tecnologiche, che hanno a loro volta favorito il migliore impiego delle risorse stesse.
Il passaggio dalla primitiva situazione in cui l’uomo era in equilibrio ecologico con la natura alla situazione attuale di sfruttamento indiscriminato delle risorse è avvenuto attraverso modifiche dell’ambiente che ne hanno determinato il degrado con danni spesso irreversibili. Si è giunti oggi al paradosso di non avere più il problema prioritario di creare e procurare le risorse necessarie alla sopravvivenza umana, ma di controllarne il consumo. La risorsa rappresentata tradizionalmente dalla terra manifesta il maggior grado di problematicità: al bisogno di sfruttare le risorse naturali si è sostituito il bisogno di difendere queste stesse risorse utilizzandole in modo più razionale. La moltiplicazione delle risorse ha favorito il miglioramento della vita della popolazione, ma il suo aumento in termini quantitativi ha provocato lo sfruttamento eccessivo di grandi estensioni di terreno, con conseguenti fenomeni di inaridimento, erosione, cementificazione delle aree, disboscamento, accumulo di rifiuti di difficile smaltimento, e forme innumerevoli di inquinamento agricolo, urbano, industriale che hanno spezzato l’equilibrio ecologico di suolo, acqua e aria (piogge acide, effetto serra ecc.).
L’antica concezione della natura intesa come fonte inesauribile di risorse è stata sostituita dalla constatazione che la natura, e quindi il pianeta in cui viviamo, è soggetta a vincoli fisici ben precisi; si può pensare allora alla natura come a uno scrigno contenente una quantità limitata di risorse, alcune delle quali di per sé non riproducibili, come i minerali e i combustibili fossili, e quindi se non si vuole depauperare definitivamente il capitale naturale ereditato dal passato occorre, anche ai fini di garantire non solo la sopravvivenza ma lo sviluppo delle generazioni future, limitare l’uso indiscriminato di tali risorse.
La crescita quantitativa ma anche il maggiore sfruttamento delle risorse disponibili, si è detto, sono strettamente collegati con lo sviluppo delle conoscenze umane (il capitale umano, appunto). La realizzazione di nuovi materiali, sempre più leggeri, resistenti e piccoli (le leghe, le nuove fibre, i chip nell’elettronica ecc.) ha attenuato l’importanza attribuita alla ‘proprietà delle risorse’. Si pensi, per es., al caso delle fibre ottiche che sostituiscono i cavi di rame nelle telecomunicazioni o alle biotecnologie che favoriscono un allevamento e un’agricoltura con specie più produttive e più resistenti ai diversi tipi di clima, o ancora alle nuove fonti di energia (energia solare fotovoltaica, fusione e fissione nucleari) che riducono la dipendenza dalle risorse petrolifere. Lo sviluppo tecnologico sta portando anche a una vera e propria ‘dematerializzazione’, ossia alla riduzione della quantità di materie prime e di energia consumata per unità di produzione industriale. Le cause sono molteplici: i nuovi processi di lavorazione che consentono di ridurre fortemente gli scarti, i materiali che hanno prestazioni molto più elevate, la creazione di materiali che sono molto più leggeri, la miniaturizzazione. La combinazione di informatica e tecnologie robotizzate di lavorazione sta modificando l’approccio del sistema produttivo al mercato: dalla fase di produzione dei beni, loro stoccaggio in magazzino e successiva vendita, si è passati a quella della progettazione e produzione dei soli beni che richiede il mercato; questa produzione just in time (➔ JIT), insieme al ricorso alle tecnologie e alle telecomunicazioni, sta portando all’ottimizzazione dei magazzini e alla scomparsa dell’invenduto.
Il problema principale che oggi si avverte non riguarda dunque né la proprietà né la scarsità di risorse ma il loro utilizzo e la loro distribuzione. Quanto all’uso delle risorse disponibili non vi è dubbio che questo debba avvenire attraverso l’introduzione di processi di trasformazione più compatibili con l’ambiente e che richiedono minori fabbisogni di energia, affrontando il problema dei rifiuti (industriali, urbani, delle produzioni e degli allevamenti agricoli) da recuperare o riciclare per altri impieghi non nocivi per il pianeta. Collegato a questo problema vi è quello, altrettanto importante, di una distribuzione iniqua delle risorse. Lo sviluppo economico avviene oggi in forma assai squilibrata, con una minoranza ‘ricca’ formata da un quinto della popolazione mondiale (il Nord) che produce e consuma la quota preponderante delle risorse, mentre la maggioranza ‘povera’ della popolazione mondiale (il Sud), formata da poco meno di 4 miliardi di abitanti, pur esprimendo un fabbisogno maggiore di risorse necessarie alla sua crescita economica e sociale, deve accontentarsi di una quota ridottissima.
Concessioni amministrative su risorse naturali di Maria De Benedetto