Disciplina originatasi dalla psicologia e insieme dalla neuroanatomia e neurofisiologia con lo scopo di individuare e descrivere i meccanismi che sono alla base del comportamento degli esseri viventi considerati come unità integrata dell’individuo con il suo ambiente naturale.
Le origini. La p. come indirizzo autonomo e sistematico di ricerca si è costituita a cavallo tra Ottocento e Novecento. I suoi presupposti filosofici possono essere già individuati nel 17° sec. nell’opera di R. Descartes, in cui si trova una compiuta definizione dell’automatismo animale, che, sia pure ben presto messo in crisi nel suo impianto anatomo-fisiologico (valga per tutti il Discours sur l’anatomie du cerveau, 1669, di N. Stenone), costituirà un costante punto di riferimento: concepita l’anima come mens (res cogitans) ed eliminate conseguentemente l’anima vegetativa e l’anima sensitiva della tradizione aristotelico-scolastica, Descartes forniva, in chiave meccanicistica, una spiegazione delle funzioni vitali e sensomotorie dell’animale. La riduzione dell’animale a macchina suscitò tra i contemporanei un dibattito filosofico-teologico, così come il radicale dualismo tra res cogitans e res extensa, lasciando controverso il rapporto tra le due sostanze, aprì la strada a numerosi tentativi di spiegazione.
Il Settecento. Benché una soluzione radicalmente materialistica, in ambito non cartesiano, fosse già stata proposta da T. Hobbes, fu soprattutto nel Settecento che si incrinarono le concezioni dualistiche del rapporto tra fisico e psichico: J.-O. La Mettrie, P.H.D. Holbach e D. Diderot, in un contesto spesso non più solo meccanicistico (importanti in questo senso gli studi sulla sensibilità e irritabilità dovuti ad A. von Haller), sostennero la determinazione degli stati psichici da parte di quelli fisiologici; e successivamente Cabanis (1802), forse l’estremo assertore di una psicologia integralmente fisiologica, parlò del cervello come organo della «secrezione del pensiero». Anche in campo naturalistico il Settecento fu ricco di ricerche che possono considerarsi lontani prodromi della p.: L.A. Réaumur e L. Spallanzani furono tra i primi a compiere sistematiche osservazioni sulla vita degli insetti, aprendo una strada che sarà seguita da G.-L. Buffon, C. Bonnet, e J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, e F. Huber, contemporanei degli enciclopedisti. Nel 1762 C.G. Leroy pubblicò, sotto lo pseudonimo di fisico di Norimberga, le sue Lettres philosophiques sur l’intelligence et la perfectibilité des animaux; per la precisione delle sue osservazioni, egli può essere considerato il fondatore dell’etologia animale.
L’Ottocento. Nell’Ottocento il rapporto tra fisico e psichico fu risolto generalmente in termini materialistici dal positivismo e dall’evoluzionismo; ma soprattutto esso diventò parte dell’indagine scientifica, sia nell’ambito della ricerca psicologica (il parallelismo psicofisico di G.T. Fechner e W. Wundt) sia con i primi studi sul cervello e sulle attività cerebrali (F.J. Gall, M.J. Flourens, P. Broca). Decisivo per la psicologia animale e, più in generale per la biologia, fu l’approccio filogenetico conseguente alle teorie evoluzionistiche. Secondo J.B. de Lamarck lo studio del comportamento animale doveva essere concepito come un’investigazione sulle funzioni del sistema nervoso: l’evoluzione dei sistemi comportamentali appariva quindi direttamente legata alle successive trasformazioni e alla crescente complessità della morfologia e delle strutture del sistema nervoso. Per quanto riguarda C. Darwin è da segnalare l’importanza attribuita alle forme del comportamento, e in particolare al comportamento aggressivo, nel concetto di selezione naturale.
Il 20° secolo. L’eredità del determinismo e del meccanicismo fu raccolta alla fine del 19° sec. e nei primi anni del 20° dagli zoologi J. Loeb e G. Bohn, i cui nomi sono legati al concetto di tropismo, dal fisiologo I.P. Pavlov, le cui classiche esperienze sui riflessi condizionati del cane aprirono la strada alla ricerca psicofisiologica, e da E.L. Thorndike, che, osservando il comportamento di un gatto che cercava di uscire da una gabbia-problema, descrisse il processo di apprendimento come il risultato di un procedimento per tentativi ed errori, e formulò così le basi del connessionismo. D’altra parte, L.-C.-H. Piéron (1904) ed E. Claparède (1906) difesero la legittimità della psicologia comparata contro la scuola tedesca di fisiologia (T. Bethe, J. von Uexküll).
Nel corso della del 20° sec. le ricerche continuarono in Europa e negli Stati Uniti seguendo due direttive complementari. I ricercatori europei, per la maggior parte di formazione zoologica, si dedicarono prevalentemente allo studio del comportamento innato e istintivo degli animali osservati nel loro ambiente naturale. Sono particolarmente rappresentativi gli studi sugli insetti di J.-H. Fabre (1879-1908), K. von Frisch (1946), P. Grassé (1956); quelli sui pesci di L. Tinbergen (1940); quelli sugli uccelli di C.O. Whitman (1898), K.Z. Lorenz (1935 e seg.); e infine le ricerche sui mammiferi a opera di W. Köhler (1925), H. Hediger (1954), I. Eibl-Eibesfeldt (1956-69).
Negli Stati Uniti C. Lloyd Morgan formulò nel 1894 la sua celebre legge di economia, nota sotto il nome di ‘canone di Lloyd Morgan’, secondo la quale un’azione non deve mai essere interpretata come il risultato dell’esercizio di una facoltà psichica superiore se può essere attribuita all’esercizio di una facoltà di livello inferiore. Questa tendenza, opposta all’antropocentrismo, non fece che accentuarsi quando, nel 1914, J.B. Watson formulò i principi del suo comportamento (behaviorism; ➔ behaviorismo) biologico, iniziando così una tradizione in seguito ripresa e sviluppata da J.R. Kantor (1924), P.A. Weiss (1925), E.C. Tolman (1932) e B.F. Skinner (1932).
Una delle tendenze dominanti della p. contemporanea consiste, secondo D.E. Berlyne, nella «messa in rapporto del complesso con il semplice», ossia nello studio degli schemi elementari che costituiscono la principale via di accesso all’analisi dei comportamenti altamente elaborati. È in questo senso che le investigazioni aventi per oggetto la fisiologia degli organi dei sensi (W. Wundt, 1896), i riflessi spinali (C.S. Sherrington, 1906), il comportamento innato (tradizione etologica), i riflessi condizionati (Pavlov, 1902), il comportamento operativo (Skinner, 1938), l’apprendimento di un comportamento di evitamento (L.H. Warner, 1932; N.E. Miller, 1939), la formazione di rappresentazioni spaziali in un labirinto (E.L. Thorndike, 1911; K.S. Lashley, 1929) costituiscono le tappe obbligatorie nello studio delle funzioni del sistema nervoso superiore.
L’avvento della ricerca sperimentale in psicologia può essere datato con una certa precisione all’introduzione dei roditori (ratti e topi) come animali di laboratorio, e alla costruzione dei primi apparecchi destinati allo studio del loro comportamento, e cioè: la ruota per la misurazione dell’attività spontanea del ratto; la gabbia-problema; il labirinto. Accanto alle evidenti limitazioni, legate al basso livello d’integrazione delle specie più comunemente utilizzate, la sperimentazione effettuata sul comportamento animale presenta, rispetto alla sperimentazione nell’uomo, dei vantaggi considerevoli, in particolare: la facilità di ottenere materiale da esperimento in abbondanza; la possibilità di associare, alle ricerche sul comportamento, studi paralleli di ordine neurofisiologico e biochimico, come, per es., le ricerche di J. Delgado (1969), che ha utilizzato la stimolazione elettrica del sistema limbico per studiare i comportamenti aggressivi in diverse specie animali; la stessa tecnica è stata utilizzata per descrivere funzionalmente le aree corticali; il fatto che essa non sia spesso considerata soggetta alle medesime limitazioni di natura etica che si oppongono alla sperimentazione sull’uomo. La relativa brevità del ciclo riproduttivo nei roditori, in particolare, fa del ratto e del topo il materiale di scelta in psicogenetica per gli esperimenti di selezione e per ottenere dei ceppi consanguinei. L’animale di laboratorio rappresenta inoltre un materiale incomparabile perché la sua utilizzazione permette il controllo e le eventuali modifiche delle condizioni ambientali; è così possibile, per es., seguire l’influenza sul comportamento di alcuni fattori che intervengono nel corso della gestazione e della prima infanzia (esperienza precoce), quella di alcune carenze o eccessi alimentari, le conseguenze determinate dall’adozione, l’isolamento o l’ambiente sociale.
È soprattutto a B.F. Skinner e alla sua scuola che dobbiamo l’introduzione di tecniche elettromeccaniche ed elettroniche nella ricerca sul comportamento animale. Apparecchiature complesse permettono la predisposizione di programmi di comportamento, nonché la registrazione delle risposte innate, o acquisite, dell’animale da esperimento. Nella gabbia di Skinner, per es., una pressione esercitata dall’animale sul manipolandum sarà seguita dalla somministrazione di una ‘ricompensa’ (alimento, calore ecc.) secondo modalità di periodicità o di frequenza fissate dallo sperimentatore. Nella gabbia bipartita, lo spostamento dell’animale gli permette di fuggire o di evitare una punizione (shock elettrico). Adottato dapprima nel ratto, l’impiego di tecniche di studio del comportamento strumentale è stato esteso ad altre specie animali (piccione, capra, scimmia) e all’uomo. Nuovi progressi sono stati realizzati con l’adozione delle tecniche radiotelemetriche. Metodi del genere permettono di effettuare studi a lungo termine su animali che conservano il loro ritmo di vita normale, e di seguire a distanza gli spostamenti degli animali migratori.
L’osservazione attenta di un animale permette di tracciare, per ciascun soggetto, un ‘profilo di attività’ che rende conto delle forme multiple del suo comportamento. Nel corso delle 24 ore l’animale dorme, batte le palpebre, tende l’orecchio, si gratta, mangia, beve, si accoppia, allatta i suoi piccoli, esplora la sua gabbia o il territorio in cui vive, cerca un’uscita che gli consenta un’eventuale fuga, attacca, o si nasconde da un eventuale nemico. Nel quadro generale delle connessioni tra stimolo e risposta un’analisi attenta permette di classificare i comportamenti elementari da una parte in funzione dei meccanismi genetici o epigenetici messi in gioco, dall’altra in funzione del loro adattamento alle necessità organiche e ai fattori ambientali.
I comportamenti possono essere divisi in quattro gruppi principali: tropismi, riflessi, comportamenti istintivi e comportamenti acquisiti. I tropismi, in particolare negli organismi inferiori e negli Invertebrati, sono movimenti innati che assicurano un orientamento dell’organismo e la distribuzione ottimale degli stimoli. Per es.: il fototropismo negativo dello scarafaggio che fugge la luce. I riflessi sono risposte, involontarie e innate, osservabili in certe parti del corpo in risposta a uno stimolo particolare. Nella loro forma classica essi mettono in gioco, nei Vertebrati, un arco riflesso costituito da un nervo sensitivo, da una o molte connessioni sinaptiche situate a livello del midollo spinale, e da un nervo motore. Per es.: la contrazione, nel cane, dei muscoli estensori della zampa in risposta a una stimolazione meccanica del ginocchio. I comportamenti istintivi sono rappresentati da attitudini o catene di comportamento innate o stereotipate caratteristiche della specie, scatenate da determinati stimoli (elemento scatenante) e corrispondenti generalmente a una funzione biologica fondamentale. Per es.: il comportamento di corteggiamento nei pesci e negli Uccelli, l’accumulo di provviste presso alcuni Roditori. I comportamenti acquisiti sono quelli che si formano nel corso dei processi di condizionamento o di apprendimento, in cui la contiguità di uno stimolo sensoriale e di un rinforzo (o ricompensa) comporta la formazione di una risposta intenzionale; questi, nelle forme più evolute, corrispondono al processo fondamentale dell’intelligenza. Per es.: il ratto apprende a percorrere senza errori il labirinto all’estremità del quale si trova il cibo; la scimmia mette diverse casse una sopra all’altra per arrivare a delle banane appese al soffitto.
Mentre i tropismi, i riflessi e i comportamenti istintivi appaiono geneticamente determinati e dipendono da ciò che possiamo considerare la base di una memoria morfogenetica che si manifesta al di fuori di ogni esperienza individuale, i comportamenti acquisiti si iscrivono nel quadro della memoria transizionale. È stato riconosciuto, d’altra parte, che la memoria morfogenetica e la memoria transizionale non rappresentano che dei termini estremi, accanto ai quali esisterebbe una terza forma, la memoria epigenetica. A questo tipo di comportamento appartiene il processo di imprinting che è stato in particolare osservato negli anatroccoli, che non sono più in grado di seguire gli spostamenti della madre se non hanno avuto l’opportunità di esercitarsi durante un breve periodo (detto periodo sensibile o periodo critico), che in questo caso è limitato al tempo trascorso fra la 5ª e la 20ª ora dopo la schiusa. Osservazioni analoghe hanno permesso di formulare, nei Mammiferi, il concetto di esperienza precoce e di periodo sensibile o periodo critico. Il significato e l’importanza funzionale di queste due forme di accumulo delle informazioni varia a seconda del gruppo zoologico considerato. In via generale le forme innate, riflesse, o istintive del comportamento rappresentano, nella scala animale, una forma di condotta primitiva e in realtà elementare rispetto alla possibilità che l’apprendimento offre alle specie più evolute. Nei Vertebrati le osservazioni più dimostrative sul carattere istintivo di forme di comportamento anche relativamente complesse sono state effettuate nei pesci e negli Uccelli. Possiamo citare, per es., il comportamento sessuale (corteggiamento) e parentale (costruzione del nido), le migrazioni (salmone, uccelli migratori) e la difesa del territorio (canto degli uccelli).
All’interno della classe dei Mammiferi, la parte spettante ai comportamenti innati diminuisce progressivamente quando si passa dagli insettivori ai Roditori, ai Carnivori e ai Primati. Che si tratti di accoppiamento, della costruzione del nido o dell’attitudine parentale, i comportamenti che presiedono alla conservazione della specie perdono progressivamente il loro carattere stereotipato e diventano sempre più dipendenti dalle condizioni dell’ambiente, dell’esperienza e della vita sociale, man mano che si procede nella scala zoologica.
Il termine motivazione, nel suo significato più generale, si riferisce ai bisogni e alle pulsioni associate ai comportamenti orientati verso fini nettamente determinati. Le reazioni motivate corrispondono, infatti, all’esercizio di funzioni biologicamente caratterizzate che, fissatesi nel corso dell’evoluzione, rispondono a differenti finalità proprie dell’individuo e della specie.
Classificazione. Le motivazioni si distinguono in quattro gruppi principali, corrispondenti a quello che è stato a lungo definito con il termine istinto: a) la nutrizione (fame e sete); b) le cure, la pulizia e la salute del corpo (in particolare cure cutanee: grattamento, spidocchiatura); c) reazione di messa in salvo e di allarme (comportamento di difesa, di fuga e di attacco; organizzazione del territorio, migrazione ecc.); d) la riproduzione della specie (corteggiamento, accoppiamento, costruzione del nido, parto, cura ai neonati ecc.).
L’espressione comportamento motivato non pregiudica il carattere innato o acquisito, involontario o intenzionale dell’azione; un comportamento di fuga o di evitamento, con cui si esprime la spinta a mettersi in salvo, può essere legato a meccanismi diversi, può essere pertanto riflesso, istintivo o condizionato.
Interpretazioni neurofisiologiche. L’analisi degli stati motivazionali è stata condotta secondo due direttive complementari dai neurofisiologi e dagli psicobiologi. Le ricerche realizzate sugli effetti della distruzione o, al contrario, della stimolazione di zone definite del sistema nervoso centrale, e in particolare delle aree sottocorticali, hanno permesso di definire il concetto di pulsione corrispondente a uno stato di eccitazione o di stimolazione nervosa che è relativo a un bisogno organico e spinge l’animale all’azione. Le attività consumatorie (come l’appetito e l’attività sessuale) sono sotto il controllo di centri generalmente localizzati nell’ipotalamo. Lo dimostra il fatto che la distruzione dei nuclei ventro-mediali dell’ipotalamo determina la voracità dell’animale operato, mentre le lesioni bilaterali anteriori hanno come conseguenza una forma grave e persistente di afagia. Diversi comportamenti legati alla riproduzione, come l’accoppiamento o il comportamento parentale, sono sotto il doppio controllo nervoso o ormonale; la stimolazione elettrica o l’impianto di ormone maschile (testosterone) nella zona dorso-laterale dell’ipotalamo provocano nel ratto maschio un’esagerazione del comportamento sessuale.
Rinforzo. Accanto alle esperienze di neurofisiologia, sono stati effettuati studi sul condizionamento e l’apprendimento, che hanno permesso di precisare e oggettivare il concetto di motivazione. Già Pavlov (1902) aveva messo in evidenza come il cane da esperimento, il cui flusso salivare era regolarmente registrato, non reagisse alla semplice vista della carne se non nella misura in cui era affamato. Studiando il comportamento del ratto in labirinto, Tolman (1932) dimostrò come l’apprendimento e le prestazioni dell’animale dipendessero strettamente dal fine perseguito: la ricompensa, cioè il cibo per l’animale affamato. Una terza tappa nell’analisi del concetto di motivazione è rappresentata dalle ricerche di Skinner, che hanno portato a formulare il concetto di rinforzo: si intende per rinforzo operante lo stimolo che, presentato immediatamente dopo una risposta, aumenta la frequenza di questa. Si verifica così un apprendimento che è direttamente collegato a uno stato motivazionale significativo.
I risultati ottenuti da questi autori hanno permesso di precisare il concetto generale di motivazione per quanto riguarda due nozioni importanti: a) la nozione di rinforzo secondario; rinforzo condizionato o rinforzo a catena; b) la distinzione fra rinforzi primari organici e rinforzi sensoriali. Un esempio classico di rinforzo secondario (condizionato) è rappresentato dall’esperimento nel quale l’animale (scimmia) deve anzitutto esercitare un certo numero di pressioni su una leva per ottenere uno o molti gettoni e, in una fase successiva, introdurre i gettoni in una feritoia per ottenere finalmente la ricompensa, cioè il cibo desiderato. In un esperimento del genere il gettone acquisisce, nel corso dell’apprendimento, un valore che in origine non aveva. La nozione di rinforzo sensoriale corrisponde all’effetto motivazionale di stimoli sensoriali, d’intensità moderata, che non appartengono né alle quattro classi di motivazioni organiche primarie, né a una motivazione secondaria identificabile. Il duplice concetto di rinforzo organico e rinforzo sensoriale corrisponde all’ipotesi secondo la quale esisterebbe nell’animale una ‘fame di sensazioni’ paragonabile alla fame organica. L’attività motoria spontanea del ratto in una gabbia rotante, l’attività esplorativa dell’animale posto in un territorio sconosciuto, i tentativi per uscire da un recinto chiuso rappresentano diversi aspetti di una motivazione di curiosità nella quale i fattori di novità e di sorpresa si oppongono alla noia e alla monotonia ambientale. Un esperimento classico mostra con quanta costanza una scimmia prema su una leva per aprire una finestra che le permetta di affacciarsi allo spettacolo del mondo esterno o per dare inizio a una proiezione cinematografica. Quanto al comportamento sociale, la ricerca della novità si manifesta nelle differenti scelte sessuali osservate in animali di diverse specie.
L’acquisizione di nuovi comportamenti. Gli studi sull’apprendimento rappresentano uno dei principali indirizzi nel campo della ricerca sperimentale in psicobiologia. Sono state proposte varie classifiche delle forme di acquisizione di nuovi comportamenti; esse sono basate sul tipo delle reazioni implicate (risposte vegetative, risposte motorie o risposte verbali), sulla natura della motivazione (rinforzo positivo o di ricompensa, negativo o di punizione) e sulle ipotesi che si possono formulare riguardanti la natura di processi determinanti (apprendimento per associazione, o per tentativo ed errori, o per processo intuitivo). Con il progredire delle ricerche, l’interesse per le teorie generali dell’apprendimento formulate negli anni 1930 ha lasciato posto a un insieme di indagini meno sistematiche ma più precise per quanto concerne le strutture nervose interessate. Il concetto pluralistico al quale si fermano vari autori corrisponde alla varietà della funzione del processo di apprendimento, e a possibili fenomeni di convergenza fra i comportamenti osservati in gruppi zoologici diversi. La particolare attitudine al conteggio osservata negli uccelli nidicoli corrisponderebbe, secondo questo concetto, all’importanza che rappresenta per la specie il reperimento della propria covata, mentre in altri gruppi una capacità di discriminazione visiva renderebbe possibile il ritrovamento dell’alveare (api) o del nido (piccione viaggiatore); è stato anche notato come indici sensoriali non sempre chiaramente definibili rendano possibile il ritrovamento delle coppie nel mezzo di una numerosissima popolazione di uccelli (cormorano).
Forme di apprendimento. Le forme di apprendimento più particolarmente studiate sono: a) il condizionamento classico, corrispondente al condizionamento pavloviano: risulta dal transfert dell’efficacia di una stimolazione iniziale (stimolo incondizionato), che scatena una risposta riflessa (risposta incondizionata) a uno stimolo inizialmente neutro (stimolo condizionato); per es., il condizionamento della secrezione salivare nel cane (esperienza di Pavlov) in corrispondenza del rumore di un campanello che annuncia la presentazione del cibo; b) il condizionamento di evitamento: in presenza di un rinforzo negativo la risposta dell’animale diminuisce la probabilità di uno stimolo doloroso che costituisce la punizione; per es., l’apprendimento di una reazione di evitamento in una gabbia bipartita nella quale il ratto deve spostarsi per sfuggire a uno shock elettrico preannunciato dall’accensione di un segnale luminoso; c) il condizionamento strumentale di ricompensa, o apprendimento per tentativi ed errori di Thorndike; per es., nel condizionamento operante nella gabbia di Skinner l’animale impara a premere su una leva per ottenere una porzione di cibo; d) l’apprendimento di una reazione di scelta, o apprendimento discriminativo: rappresenta il caso particolare di un apprendimento per tentativi ed errori in cui l’animale deve imparare a modificare il tipo della sua risposta in funzione dello stimolo che gli è presentato; per es., l’apparecchio di Lashley per l’apprendimento della discriminazione visiva nel ratto; e) apprendimento per processo intuitivo o per processo simbolico; per es.: soluzione dei problemi di alternanza semplice e doppia e dei problemi di eliminazione preferenziale, per la soluzione dei quali l’animale deve tener conto dei suoi comportamenti precedenti; utilizzazione, da parte della scimmia, di diversi bastoni ammanicati gli uni agli altri, o accatastamento di casse per raggiungere un alimento messo fuori della sua portata (esperimento di Köhler effettuato sullo scimpanzé).
Tipi di memoria. Nello studio dei processi di memorizzazione si individuano due memorie fondamentali: la memoria a breve termine, la cui base biologica sarebbe da identificarsi con un’attività bioelettrica cerebrale successiva all’esperienza, e la memoria a lungo termine, la cui base biologica è costituita dalla sintesi di RNA e dalla conseguente ristrutturazione, a livello sinaptico, di molecole proteiche. L’unica ricerca che ha permesso di localizzare la sede di un apprendimento specifico è quella condotta da G. Horn (1979) sull’imprinting dei pulcini. Nel corso dell’imprinting si verifica un netto aumento della sintesi di RNA a livello della parte mediale dell’iperstriato, al di sotto del tetto del prosencefalo. Tuttavia l’imprinting è un tipo di esperienza abbastanza massiccia, legata a uno stato di plasticità e a un periodo critico molto limitato dello sviluppo degli Uccelli, ed è quindi possibile che un’esperienza così significativa abbia dei correlati biochimici più evidenti e legati a particolari strutture rispetto a fenomeni che non sono stati sottoposti a un’importante pressione selettiva, come l’imprinting.
Altre ricerche, condotte nella scimmia hanno messo in evidenza il ruolo esercitato da strutture appartenenti al sistema limbico e l’interazione di queste strutture con strutture diencefaliche in una sorta di circuito della memoria. Altre ricerche dimostrerebbero che esiste uno stato di plasticità del sistema nervoso, per cui si pensa che i ricordi non abbiano una sede specifica ma dipendano da diverse, e vaste, aree corticali e sottocorticali e dall’interazione fra mappe neuronali. G.E. Edelmann ha proposto una teoria del darwinismo neuronale che sottolinea l’individualità delle intelligenze di tipo biologico per quanto riguarda i processi di registrazione e riorganizzazione della memoria; questa teoria ha avuto un notevole impatto anche nel campo degli studi sull’intelligenza artificiale.
Lo stress. Uno spazio notevole ha occupato, nella ricerca psicobiologica, lo studio del ruolo dello stress, nel comportamento che si accompagna normalmente a qualsiasi apprendimento. Vari sono i tipi di stress sperimentalmente indotti nell’animale di laboratorio: stress da immobilizzazione, da isolamento, da digiuno ecc. Si è potuto così notare che le situazioni stressanti influenzano il comportamento attraverso l’interazione con vari neurotrasmettitori: dopamina, serotonina, acetilcolina ecc. È possibile osservare la capacità di adattamento allo stress negli animali ponendo dei ratti al freddo o sottoponendoli a rumori intensi: gli animali, durante il periodo dell’adattamento, rispondono con un ipertono del sistema simpatico e con un aumento delle funzioni delle ghiandole endocrine (tiroide, ipofisi, corteccia surrenale) che si ipertrofizzano; quando le risposte cominciano a esaurirsi compaiono disturbi somatici più gravi, come ulcere gastriche o aumento della pressione arteriosa, e infine può subentrare la morte. In condizioni meno estreme, lo stress interferisce negativamente con la capacità di apprendere, con la motilità, con la risposta agli stimoli ecc. Anche nell’uomo lo stress induce disturbi, spesso anche gravi.
Il comportamento sociale, cioè la tendenza dei singoli individui a costituire delle consociazioni, rappresenta un processo generale nell’evoluzione del comportamento che appare in modo indipendente in vari gruppi: Poriferi, Celenterati, Aracnidi, Insetti e nei Vertebrati. Le associazioni animali possono rivestire le forme di consociazioni aperte primitive o di consociazioni chiuse. Mentre le prime lasciano libero l’accesso degli individui che non appartenevano inizialmente al gruppo (branco di pesci), i membri delle consociazioni chiuse sono organizzati in unità intolleranti, opposte all’integrazione degli intrusi. Sociabilità e aggressività si trovano pertanto strettamente collegate. Tali consociazioni non sono concepibili se non in quanto i membri hanno la possibilità di riconoscersi fra di loro, sia attraverso un segno distintivo del gruppo (odore dell’urina in molti Mammiferi) sia con segni individuali nel caso in cui venga stabilita una gerarchia all’interno della tribù (Galliformi, Roditori, Scimmie). Il raggruppamento può avere diversi modelli, costituendo consociazione familiare o consociazione tribale, nella quale si trovano riuniti individui di varie generazioni. La frequenza con la quale si presentano può essere collegata con i notevoli vantaggi che esse presentano per la specie; è stato osservato come nei pinguini il raggruppamento degli individui permette agli uccelli di resistere alla dispersione del calore, e pertanto di sopravvivere anche a temperature di −60 °C e a venti di 100 km/h; negli Uccelli e nei pesci la consociazione rappresenta un fattore di protezione nei riguardi dei predatori; in altre specie (branco di lupi) essa si forma in funzione di una divisione dei compiti nell’organizzazione della caccia; la formazione del gruppo familiare, infine, riveste un’importanza essenziale, negli Uccelli e nei Mammiferi, per la cura e la difesa della prole.
Per quello che concerne il problema relativo alla possibilità di estendere alla psicologia umana parte dei risultati ottenuti nello studio del comportamento animale, i dati raccolti sui Primati si sono dimostrati di particolare interesse. Gli studi sulla relazione fra madre e prole, realizzati su piccoli macachi allevati in isolamento o in presenza di madre fantoccio, si sono dimostrati utili nell’analisi della reazione affettiva del neonato umano.
Gli studi sulla genetica del comportamento di ceppi di animali con alterazioni biologiche e comportamentali hanno permesso di caratterizzare, dal punto di vista molecolare, alcuni meccanismi alla base della fisiologia e patologia cerebrale di taluni aspetti del comportamento e di malattie neurologiche. In relazione con la loro importanza nell’uomo, sono state studiate nello scimpanzé le possibilità di adoperare alcune forme di linguaggio con l’esecuzione di segni delle mani o la scelta di oggetti. In colonie di macachi allevati in condizione semi-naturale, sono stati osservati chiari segni di trasmissione culturale.