mùsica, stòria della Disciplina che analizza la musica in senso cronologico, attraverso le epoche e le culture, con particolare riferimento alla musica colta occidentale.
L’antichità e il Medioevo Grande rilievo ebbe la m. nell’antica Grecia. Lo stesso termine m., con cui si indicava l’unione tra m., poesia e danza, deriva dal vocabolo greco mousikè, cioè «arte delle Muse», le mitiche protettrici delle arti. La fusione tra m., gesto e parola diede vita ai generi teatrali-musicali della tragedia e della commedia. Alla m., di origine divina, era riconosciuta una fondamentale funzione educativa: tra il 5° e il 4° sec. a.C. Platone e Aristotele sostenevano che differenti tipi di m. potessero modificare il carattere dei giovani. La trasmissione orale ha causato la perdita del patrimonio musicale dell’antichità e solo pochi frammenti con notazione musicale sono pervenuti fino a noi. Sono state invece tramandate la teoria e l’acustica musicale, separate dalla pratica, oggetto di riflessione da parte di matematici e filosofi, come Pitagora, vissuto tra 6° e 5° sec. a.C., e la sua scuola. Essi ritenevano che lo studio fisico e acustico della m. – che rispecchiava l’ordine e l’armonia del cosmo – avvicinasse alla comprensione dell’Universo.
La m. romana non produsse, rispetto alla m. greca, contributi originali. Dopo il 3° sec. a.C. si sviluppò a Roma un tipo di teatro tragico e comico in lingua latina, in cui i modelli greci venivano modificati con l’inserimento di parti di altri drammi, detto contaminatio («contaminazione»).
Con il cristianesimo, che assegnò alla m. un’alta funzione religiosa, entrarono nel mondo greco-romano correnti orientali apportatrici di pratiche musicali finora ignorate dalla classicità. I primi canti cristiani, di cui non è pervenuta nessuna testimonianza musicale, erano probabilmente un adattamento dei salmi ebraici; gradualmente essi si modificarono assimilando elementi greco-orientali a Bisanzio, arricchendosi di forme nuove come gli inni e le antifone. Le melodie cristiane erano monodiche, ossia a una sola linea vocale, e strettamente legate all’intonazione del testo liturgico: esse non erano pensate per il piacere dell’ascolto, ma come un mezzo per innalzare preghiere. A Gregorio Magno, papa tra il 590 e il 604, si fa risalire l’opera di riordino dei canti sacri, che presero il nome di canti gregoriani.
La tradizione teorica greca proseguì nel primo Medioevo, quando la m. fu considerata una scienza, basata su leggi matematiche e fisiche. Già all’inizio del 6° sec. Boezio classificò la m. in mundana (l’armonia delle sfere celesti), humana (l’armonia dell’animo umano) e sonora (la m. pratica creata a imitazione delle altre due). Nell’ordinamento didattico medievale, inoltre, la m. apparteneva al quadrivium, che comprendeva le quattro arti matematiche (aritmetica, geometria, m. e astronomia) in contrapposizione alle arti retoriche del trivium (grammatica, logica e retorica).
Nel 9° sec. si diffuse l’uso di eseguire le melodie gregoriane con l’accompagnamento di una seconda voce parallela, all’intervallo di quarta inferiore o di quinta superiore. Questa forma primitiva di polifonia, cioè di canto a più voci, si chiamava organum o diafonia. Più tardi in Inghilterra nacque il gymel, un canto a due voci per terze parallele. Il contrappunto, ossia l’arte di sovrapporre più linee melodiche, si sviluppò rapidamente originando le prime forme polifoniche, tra cui il mottetto. Il culmine di questa prima produzione polifonica si ebbe fra il 12° e il 13° sec. nel Nord della Francia, con la Scuola di Notre-Dame, rappresentata da Léonin e Pérotin.
Non abbiamo testimonianze del canto profano latino dell’alto Medioevo; tuttavia con il passare del tempo m. sacra e m. profana si influenzarono reciprocamente. Dagli inni latini derivarono forse le canzoni fiorite nella Francia meridionale per opera dei trovatori (11°-13° sec.), artisti colti e raffinati di cui ci sono pervenuti molti testi poetici, ma poche melodie. L’opera dei trovatori fu proseguita al Nord della Francia dai trovieri, e in Germania dai Minnesänger. In Italia verso il Duecento nacque la lauda, un canto di argomento religioso in volgare.
Il Rinascimento Il termine Ars Nova fu coniato dal teorico del 14° sec. P. de Vitry, per contrapporre l’arte del Trecento – ricca di innovazioni nel campo della teoria, dei trattati, della notazione e dello sviluppo polifonico – a quella precedente denominata Ars Antiqua. Il mottetto continuò a essere impiegato come forma sia sacra sia profana, servendo anche come mezzo di satira politica. I principali centri di fioritura dell’Ars Nova furono la Francia, dove G. de Machault compose per primo un’intera Messa polifonica, e l’Italia (soprattutto Firenze con F. Landino). Lo stile francese era intellettuale e sofisticato, mentre in Italia nacquero le nuove forme profane, dagli schemi più semplici, del madrigale, della caccia e della ballata.
Nel Quattrocento le forme polifoniche raggiunsero la massima fioritura e complessità, e nel nuovo clima umanistico la m. aumentò la sua autonomia rispetto alla Chiesa. G. Dufay fu il maggior esponente di una scuola a carattere internazionale nata in Borgogna agli inizi del secolo; egli definì le forme e gli stili della scuola fiamminga – i cui più significativi musicisti furono J. Obrecht, J. Ockeghem e J. Després – e inserì nella messa anche temi tratti da canti profani. I compositori franco-fiamminghi trascorsero buona parte della loro vita presso le corti rinascimentali d’Italia, dove diffusero le loro raffinate tecniche contrappuntistiche, assimilando contemporaneamente elementi della m. locale. Caratteristiche del Quattrocento, oltre alla messa e al mottetto, sono le forme profane della chanson e quelle tipicamente italiane come la frottola, il canto carnascialesco, lo strambotto e la canzone a ballo.
Il Cinquecento vide il predominio della m. italiana, rappresentata dalle grandi scuole romana e veneziana; la prima ebbe la sua più luminosa affermazione con P. da Palestrina che, fedele allo spirito della Controriforma, compose m. sacra per coro a cappella, cioè con le sole voci senza accompagnamento di strumenti.
A Venezia, accanto alle composizioni religiose che impiegavano voci, spesso con cori multipli, e strumenti, fiorì la m. profana nella forma del madrigale polifonico, che C. Monteverdi agli inizi del Seicento portò al più alto grado di perfezione, e la m. strumentale nelle nuove forme della toccata, del ricercare e della canzone da sonare. In tutta Italia il madrigale fu tra le forme predilette dai musicisti legati alle raffinate corti del tardo Rinascimento, come L. Marenzio e C. Gesualdo da Venosa. A Firenze sul finire del secolo ebbero origine le prime forme di ‘recitar cantando’ in stile rappresentativo, volte alla resa espressiva della parola: un gruppo di umanisti, intellettuali e musicisti riuniti nella Camerata fiorentina de’ Bardi diedero l’avvio con la Dafne di J. Peri nel 1598 alla prima opera in musica. Intanto anche l’armonia veniva modificandosi, con l’affermazione progressiva della moderna tonalità. In Germania, in conseguenza della Riforma di Lutero, si creò un repertorio liturgico in tedesco su melodie popolari.
Il Seicento Il declino della polifonia a favore dello stile recitativo e della monodia accompagnata portò al grande sviluppo dell’opera, che intendeva rappresentare, per mezzo della ‘teoria degli affetti’, i sentimenti espressi dalle parole; aprendo un nuovo corso nel 1607 con l’Orfeo di Monteverdi, essa si diffuse in tutta Europa. In Francia il fiorentino G.B. Lulli, mutato il nome in Lully, assimilò con tale perfezione il gusto e la sensibilità locale da creare un’opera nazionale francese (tragédie-lyrique); in Germania H. Schütz compose opere sul modello fiorentino; in tutta Europa si diffusero le opere italiane e in Inghilterra H. Purcell creò un modello di opera nazionale. A Roma l’opera rimase legata a temi religiosi e allo spirito della Controriforma.
Parallelamente si sviluppò la m. strumentale (sonata da chiesa, da camera, concerto grosso e concerto solistico), grazie al contributo di F. Couperin e J.-P. Rameau in Francia, G. Frescobaldi e A. Corelli in Italia, D. Buxtehude in Germania.
Illuminismo e Romanticismo Il mutamento delle condizioni sociali e politiche e l’affermarsi dell’Illuminismo favorirono lo sviluppo di nuove tendenze. Per i filosofi razionalisti il valore della m. risiedeva nel suo carattere matematico; allo stesso tempo si sviluppò la tendenza a evidenziare gli elementi espressivi e ‘naturali’ della m. e la capacità della m. di commuovere e suscitare emozioni, aprendo la strada allo stile galante. Quest’ultimo – rappresentato da C.P.E. Bach – reagiva alla sontuosità delle opere e alle grandi orchestre con una m. raccolta ed elegante destinata ai piccoli organici e al clavicembalo. La ‘teoria degli affetti’ si estese anche alla m. strumentale, che si manifestò in forme descrittive di eventi psicologici o naturali.
Le principali forme strumentali della prima metà del 18° sec. furono il concerto, la suite e la sonata. Quest’ultima si orientò verso forme solistiche – come le sonate per clavicembalo di D. Scarlatti – o per strumento accompagnato dal clavicembalo. In quest’epoca spiccano le figure somme di G.F. Händel e J.S. Bach; in Italia la m. strumentale ricevette impulso grazie ad A. Vivaldi, mentre l’opera seria italiana, rappresentata soprattutto da A. Scarlatti, dominava l’Europa.
Nella seconda metà del secolo si attuò il passaggio dallo stile barocco a quello del classicismo viennese. Nell’ambito dello stile classico nacquero la forma sonata e si portarono a perfezione la sonata, la sinfonia e il concerto solistico, espresse ai massimi livelli da F.J. Haydn e W.A. Mozart. All’opera seria italiana gradualmente si affiancò l’opera buffa con musicisti come G.B. Pergolesi, G. Paisiello e D. Cimarosa, e anche in Francia si affermò l’opéra-comique. In Germania verso la metà del secolo C.W. Gluck iniziò una riforma dell’opera in nome della verità dell’espressione drammatica e contro il virtuosismo fine a sé stesso.
Le sonate per pianoforte, i quartetti e le sinfonie di L. van Beethoven mostrano il geniale passaggio dal Settecento alla nuova sensibilità dell’Ottocento. L’Illuminismo aveva considerato la m. in termini di piacere e imitazione della natura; nel Romanticismo invece essa diventò un linguaggio puro e assoluto, l’unico in grado di esprimere concetti universali e di attingere direttamente all’‘ineffabile’ e all’‘infinito’. Esaurita l’epoca dei grandi principi mecenati, il compositore dovette confrontarsi con il pubblico pagante delle sale da concerto – che idolatrava i grandi virtuosi come N. Paganini – nonché con editori, impresari e critici musicali. Il pianoforte, giunto di recente a perfezionamento, diventò lo strumento più amato: Beethoven, F. Schubert, R. Schumann, F. Chopin e F. Liszt gli dedicarono pagine di sublime bellezza. Musicisti quali H. Berlioz, Liszt e R. Strauss coltivarono inoltre il genere descrittivo e psicologico della m. a programma. La m. sinfonica tardoromantica tedesca degli ultimi decenni del secolo fu rappresentata da J. Brahms, che si ispirava alla perfezione formale dei classici, da A. Bruckner e da G. Mahler.
In Francia sul finire del secolo C. Saint-Saëns e G. Fauré svilupparono uno stile elegante e raffinato, mentre soprattutto nei paesi slavi si formarono le scuole nazionali, che inserirono le tradizioni popolari locali nei modelli del linguaggio musicale romantico. In Russia tale indirizzo fu rappresentato da M. Musorgskji; P.I. Čajkovskij fu invece più legato alla tradizione occidentale.
I generi vocali, come il Lied in Germania, e l’opera lirica in tutta Europa, conobbero una splendida fioritura. L’Italia espresse sommi musicisti nel melodramma quali G. Rossini, V. Bellini e G. Donizetti nella prima metà del secolo, e a seguire G. Verdi – il quale operò un rinnovamento del teatro musicale assai significativo, ottenendo l’unità drammatica di pensiero e m. – e G. Puccini. In Francia si sviluppò la grand-opéra, genere grandioso e magniloquente, e fu ripresa l’opéra-comique, di argomento borghese, in cui si alternavano parlato e cantato. In Germania i più importanti elementi di innovazione, armonica e formale, si ebbero dopo la metà del secolo grazie a R. Wagner, che creò il Wort-Ton-Drama, ossia un’opera che perseguiva l’unità indissolubile di poesia, m. e scena.
Il 20° sec. e i primi anni del 21° secolo Già preannunciata da Mahler e Wagner, la crisi della tonalità (il sistema che per tre secoli aveva retto la m. occidentale) fu lo specchio della crisi politica, sociale e culturale di quegli anni, che sfociò nella Prima guerra mondiale. In Francia C. Debussy sviluppò un linguaggio profondamente originale alternativo al wagnerismo, e musicisti come M. Ravel, E. Satie, D. Milhaud e A. Honegger, reagirono alla crisi con l’ironia e la raffinatezza. A Vienna la fine dell’Impero austroungarico fu vissuta in modo più drammatico portando alla corrente dell’espressionismo e alla dissoluzione della grammatica musicale precedente: A. Schönberg giunse negli anni 1920 alla formulazione della teoria dodecafonica, che aboliva il concetto di tonalità a favore di una nuova organizzazione dei 12 suoni della scala cromatica. A. Berg e A. Webern proseguirono in tale orientamento applicando la nuova tecnica non solo alle note, ma anche alle intensità, alle durate e ai timbri (serialismo integrale), mentre l’ungherese B. Bartók elaborò un linguaggio atonale basato sullo studio scientifico del folclore. In Italia il tentativo di emanciparsi dal melodramma ottocentesco portò a un rinnovato interesse per la m. strumentale, da parte di musicisti quali O. Respighi, I. Pizzetti, G.F. Malipiero e A. Casella. Tra le due guerre L. Dallapiccola assimilò e ricreò in maniera personale la dodecafonia. Fino alla metà degli anni 1930 la politica sovietica mostrò una significativa apertura verso l’Occidente: fu proprio a Parigi che ebbe luogo la prima dirompente rappresentazione del balletto La sagra della primavera (1913) di I. Stravinsky. Negli Stati Uniti si svilupparono alcune forme originali di sperimentazione; intanto la m. europea mostrava in molti casi l’influenza del jazz e del music-hall. Il serialismo rigoroso di Webern e le nuove tecniche compositive sviluppate dal francese O. Messiaen costituirono un modello per molti musicisti dell’avanguardia del secondo dopoguerra, tra cui P. Boulez, L. Nono e K. Stockhausen.
Negli anni 1950, con la fondazione di gruppi di ricerca in Francia, Germania e Italia, iniziò a svilupparsi la m. elettronica. Negli stessi anni si fece strada un nuovo principio musicale, quello dell’alea: promosso da diversi musicisti, tra cui lo statunitense J. Cage, introduceva nelle composizioni elementi più o meno ampi di casualità, rivalutando il ruolo dell’interprete e della pratica improvvisativa.
A partire dagli anni 1960 convivono molteplici posizioni e personalità talvolta difficilmente inseribili in una corrente definita. Tra i maggiori compositori si ricordano in Italia B. Maderna, G. Petrassi, L. Berio, S. Bussotti, F. Donatoni, S. Sciarrino, e in Europa I. Xenakis, G. Ligeti, M. Kagel. Negli anni 1980 si è sviluppato in Europa un indirizzo neoromantico alla ricerca di una maggiore semplicità; la stessa esigenza era già stata avvertita negli Stati Uniti dai minimalisti, la cui m. è basata sulla ripetizione variata di brevi elementi ‘minimi’, come in P. Glass e S. Reich.
Propria della m. della seconda metà del 20° sec. è la tendenza al sincretismo e alla contaminazione, di cui le m. popolari sono state il terreno di coltura per eccellenza. Un segmento particolarmente importante dell’asse popolare/colto è costituito dal rapporto tra rock e avanguardia musicale. Il rock degli anni 1960 ha espresso alcuni personaggi estremamente eclettici che hanno esercitato una grande influenza sulle generazioni successive: è il caso del chitarrista J. Hendrix, che ha proposto un raro esempio di rock nero fondato sul blues e coniugato con l’utilizzo dell’elettronica, o di F. Zappa, ammiratore di E. Varèse, autore di pezzi che mescolano rock e blues e fautore di collaborazioni colte con P. Boulez. Notevole è stato anche l’influsso della scuola dell’art rock degli anni 1970, da cui proviene l’inglese B. Eno. Ma diversi artisti pop hanno familiarità con idee delle avanguardie artistiche, come gli statunitensi L. Anderson e D. Byrne.
Nei primi anni del 21° sec. la vita musicale non ha conosciuto novità di rilievo rispetto al periodo immediatamente precedente. Si è assistito, semmai, all’espandersi e al consolidarsi di elementi che già a partire dagli anni 1980 avevano contribuito a modificare le modalità di produzione, le categorie interpretative e le forme di ascolto della nuova m.: la frammentazione dei linguaggi e delle poetiche, la messa in discussione della centralità della tradizione occidentale colta, il riconoscimento accademico tributato al jazz e alla popular music, gli esperimenti di ibridazione culturale, la diffusione capillare di mezzi tecnologici ad alta efficienza e a basso costo.