Stato insulare dell’Europa nord-occidentale. Comprende la maggior parte delle Isole Britanniche (precisamente la Gran Bretagna e la parte nord-orientale dell’Irlanda) tra l’Oceano Atlantico, a NO, il Mare del Nord, a E, il Canale della Manica a S. Del Regno Unito fanno parte anche le Shetland, le Orcadi, le Ebridi, l’isola di Wight, l’isola di Anglesey, l’isola di Scilly; non ne fanno parte, ma dipendono direttamente dalla corona, l’isola di Man e le Isole Normanne.
Di forma stretta e affusolata (è lunga 950 km e larga, a S, 600 km), la G. si eleva su una piattaforma continentale che solo in età preistorica (Paleolitico) fu coperta dal mare, così da determinare il distacco dell’isola dal continente e la formazione dell’arcipelago. Il fondo marino discende rapidamente a grandi profondità presso le coste occidentali della Scozia (l’isobata di 1000 m dista meno di 250 km da essa).
Non è facile dare un’idea generale, e precisa, del rilievo della G. per la frequentissima e irregolare alternanza di terre basse con paesaggi di collina e di montagna. Alcune depressioni, che si interpongono tra le masse rilevate, permettono comunque di individuare alcune principali zone montuose. Gli altopiani della Scozia (Highlands) formano la maggiore fra queste; il profondo e stretto solco dal Glen Mor li divide, anche se non nettamente, in massicci diversi: si dà il nome di North-West Highlands alla loro zona settentrionale (culmine il Carn Eige, 1182 m) e di Monti Grampiani a quella meridionale (culmine il Ben Nevis, 1343 m, e il Ben Macdhui, 1309 m). Tra le Highlands e gli altopiani meridionali (Southern Uplands, 843 m) della Scozia l’isola si strozza (meno di 50 km) in una bassura fittamente popolata, che prende nome di Lowlands. Diramazione degli altopiani meridionali sono i Monti Cheviot, confine meridionale della Scozia. Più a S, una depressione (Tyne Gap), che consente un facile passaggio dal bacino del fiume Tyne al Solway Firth ed è percorsa dal Vallo di Adriano, limita dal lato settentrionale i Monti Pennini: questi prolungano in direzione quasi meridiana e raggiungono altezze modeste (Cross Fell, 893 m). Ai Pennini si congiunge, verso O, il gruppo dei Monti della Cumbria (978 m), con valli radiali e molti laghi. Separati da una zona depressa, il Midland Gap, si elevano a SO i Monti del Galles, o Cambrici, i quali solo nella parte settentrionale superano i 1000 m (Snowdon, 1085 m). Il Canale di Bristol, infine, divide nettamente il massiccio cambrico dai rilievi (alt. max 621 m) della penisola del Devon e della Cornovaglia.
Zone pianeggianti, rare di solito lungo le coste, si trovano presso i principali estuari (Solway Firth, Baia di Liverpool). Nell’Inghilterra centrale e orientale le pianure sono maggiormente estese: in particolare fra l’estuario del Tamigi e quello del Humber, con paesaggi talora molto simili alle pianure olandesi (Fens); più frazionate a S, dove sono in genere limitate da gruppi collinari e incise dai numerosi brevi fiumi del Sussex e del Kent.
Una netta distinzione è evidente fra le coste orientali e quelle occidentali. Più regolari, con poche ma profonde insenature, sul Mare del Nord e nella parte orientale della Manica, dove prevalgono forme alte per la presenza di ripe calcaree, che troncano altopiani ondulati di scarsa elevazione (lungo lo Stretto di Calais); zone di spiaggia uniforme, bassa, sabbiosa, si estendono tra i promontori. Sul versante occidentale, invece, la costa (specie in Scozia) è articolata, dalla figura in genere più stretta e allungata.
I fondamentali fattori geografici che determinano il clima del paese sono la sua posizione rispetto alla zona di prevalenza dei venti occidentali atlantici, fra 50° e 60° lat. N, e secondariamente i rilievi lungo il versante occidentale; inoltre, la G. ha temperature più elevate di quanto comporterebbe la latitudine, grazie a un ramo della Corrente del Golfo che giunge a lambire le coste scozzesi. In inverno, per influenza dell’Oceano Atlantico, le isoterme tendono a delinearsi parallelamente alle coste occidentali, cioè da N a S, con temperature medie di 5 °C nelle Ebridi e di 3 °C sul versante orientale dei Grampiani scozzesi. L’escursione termica annua non è forte: equivale a 10 °C lungo le coste occidentali della Scozia e a 13-14 °C in quelle dell’Inghilterra. In conseguenza dei venti oceanici e della presenza dei principali rilievi, la piovosità segna una netta disparità fra il versante occidentale, molto più umido, e quello orientale, più asciutto. La stagione delle maggiori precipitazioni è diversa fra zona e zona, ma in generale cade in autunno (salvo in alcune aree orientali, come i Fens, dove coincide con i mesi di luglio o settembre); come quantità assoluta, le regioni occidentali superano sempre i 1000 mm annui, con punte di oltre 2000-3000 mm nelle montagne della Cumbria e su una vasta zona dei Grampiani occidentali, mentre i valori minimi (al di sotto dei 750 mm) si riscontrano nelle pianure sud-orientali.
I fiumi inglesi presentano un regime costante, dovuto alla regolare distribuzione delle piogge durante l’anno, e pertanto costituiscono ottime vie navigabili, grazie anche alle scarse pendenze: il Tamigi viene risalito fino a 30 km dalle origini. In Scozia (Highlands e Uplands), nel Galles e nel Devon si trovano alcuni fiumi più ripidi, non navigabili ma utilizzati soprattutto per la produzione di energia idroelettrica. I corsi d’acqua principali fluiscono sul versante orientale per la particolare adiacenza delle catene montuose alle coste occidentali: in Scozia scendono dal lato E delle Highlands i fiumi Spey, Dee e Tay, e da quello delle Uplands il fiume Tweed; a O va solo il Clyde. Così pure accade in Inghilterra, dove al Mare del Nord scendono il Tyne, il Tees e poi l’Ouse e il Trent, che si riuniscono a formare un grande estuario (Humber); poi un secondo Ouse, che insieme ad altri sbocca nel Wash; e infine il Tamigi (325 km). Sul versante O troviamo, però, il fiume più lungo dell’isola, la Severn, nel cui estuario sfociano pure lo Wye e l’Avon. Il versante meridionale, cioè della Manica, ha solo fiumi di secondaria importanza.
I laghi dell’isola si trovano specialmente nelle regioni più lavorate dalla glaciazione pleistocenica; la Scozia, in particolare, è ricca di bacini lacustri (lochs) di origine e aspetto tipici: laghi di montagna o di valli glaciali, questi ultimi lunghi e stretti (Loch Ness), molto profondi. Simili a essi per forma e per origine, anche se di minori dimensioni, sono i laghi della Cumbria e del Galles.
Per le formazioni geologiche e la flora e la fauna ➔ Britanniche, Isole; per le caratteristiche fisiche dell’Irlanda del Nord ➔ Irlanda.
Il grande sviluppo demografico della G. è legato soprattutto al periodo della rivoluzione industriale che, come primo effetto, comportò un generale miglioramento delle condizioni economiche delle classi popolari. La trasformazione dei modi di vita, sinteticamente espressa da una progressiva urbanizzazione delle popolazioni rurali, fu traumatica (sfruttamento della manodopera minorile e mortalità del lavoro nelle miniere), ma i dati statistici dimostrano nel complesso un’evoluzione demografica nettamente positiva. Al censimento del 1801 la popolazione dell’Inghilterra e del Galles ammontava a 8.892.536 abitanti, quella della Scozia a 1.608.420; il tasso di crescita più elevato si ebbe nel periodo 1811-21, con un valore medio annuo dell’1,8%. Gli anni intorno al 1860 segnarono definitivamente il passaggio da una società rurale a elevata natalità e mortalità a una società industriale nella quale i due valori risultavano notevolmente attenuati. La popolazione crebbe fino agli inizi del 20° sec., malgrado il consistente flusso migratorio verso l’America Settentrionale e gli altri territori dell’Impero. Nella prima metà del 20° sec., la fisionomia demografica denotò caratteri di stazionarietà, con un notevole aumento delle classi di età più elevate e un impoverimento di quelle medio-inferiori, cioè dai 25 ai 45 anni. Il tasso di crescita diminuì dopo il secondo conflitto mondiale, ma dal 1956 si registrò un notevole aumento della natalità, causato dalla forte immigrazione dai paesi del Commonwealth e soprattutto dalle ex colonie asiatiche (India, Pakistan) e africane (Nigeria, Ghana, Africa australe). In seguito l’indice di natalità è calato di nuovo e oggi l’accrescimento è dello 0,279% annuo (stima 2009), dovuto quasi solo all’immigrazione. Si riscontrano sensibili differenze territoriali: è l’Irlanda del Nord a segnare il tasso di natalità più elevato rispetto alla media nazionale e quello di mortalità più basso.
Le condizioni di vita (reddito, istruzione, sanità) sono molto avanzate, benché non manchino ampie sacche di disagio socioeconomico e le sperequazioni di reddito siano piuttosto rilevanti. Nell’Inghilterra sud-orientale vive circa la metà della popolazione totale; la Scozia presenta invece una densità molto bassa. Oltre l’80% della popolazione vive in città: la Grande Londra ha più di 7,6 milioni di ab., la Grande Manchester più di 2,5; Birmingham, Glasgow, Liverpool, Edimburgo sono tra le altre città più importanti. Nell’insieme, sono le aree più urbanizzate ad accogliere la gran parte della crescita demografica e dei flussi migratori, dopo un periodo che aveva visto un forte ridimensionamento dei pesi demografici delle grandi città.
Negli anni 1990 è stata effettuata una radicale riorganizzazione amministrativo-territoriale, la cui innovazione più interessante è costituita dalle Unitary Authorities, istituite nella Scozia, nel Galles e, con un processo più lento e laborioso, in parecchie aree dell’Inghilterra, nella quale peraltro persistono anche numerose vecchie contee.
La religione più diffusa è quella anglicana (43,5%); il resto della popolazione britannica appartiene prevalentemente a Chiese protestanti riformate (circa il 10%), tra le quali quelle presbiteriana (Scozia) e metodista. I cattolici sono il 9,8%, i musulmani l’1,4%, gli ebrei lo 0,5%.
Per la lingua ➔ inglese.
L’evoluzione dell’economia britannica, dopo le fortune dell’impero coloniale e della rivoluzione industriale, subì nel 20° sec. un progressivo deterioramento, a partire soprattutto dalla grande crisi del 1929. Malgrado i provvedimenti di politica economica posti in atto dai diversi governi conservatori, il malessere del sistema economico britannico si protrasse fino ai nuovi eventi bellici. Gli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale videro delinearsi una serie di problemi: l’emancipazione dei territori coloniali e un indebolimento dei rapporti politico-economici con gli altri membri del Commonwealth; il formarsi di nuovi flussi commerciali e finanziari mondiali sfavorevoli alla G.; la politica del pieno impiego e le rivendicazioni salariali, un progressivo aumento del costo del lavoro; la situazione di obsolescenza dell’apparato industriale, ostile a innovazioni tecnologiche; un forte aumento dei consumi sociali e una dilatazione dell’apparato burocratico-amministrativo. Negli anni 1960 il tasso di crescita rimaneva tra i più bassi d’Europa, come il tasso di investimento e il livello delle esportazioni, mentre il tasso d’inflazione saliva notevolmente. Il decennio successivo si aprì con l’ingresso, dopo lunghe trattative, della G. nella CEE. Mentre proseguiva il lento declino del settore industriale, un importante fatto nuovo fu rappresentato dal ritrovamento di ingenti riserve di idrocarburi nel Mare del Nord. Solo alla metà degli anni 1980, tuttavia, la politica di austerità governativa riuscì a contenere le più vistose diseconomie. La successiva crescita economica, manifestatasi mediante un incremento del PIL di circa il 2% annuo nel decennio 1990-99, è stata preceduta e accompagnata da corpose dismissioni di imprese da parte dello Stato, da una forte riduzione delle politiche sociali, da una rigorosa politica di spesa, ma anche da una disoccupazione elevata, dall’accentuata flessibilità degli impieghi e da tensioni sociali non irrilevanti. Negli anni successivi la crescita del PIL si è attestata sul 2-3% e la disoccupazione è progressivamente diminuita (5,5% nel 2008); tuttavia, a partire dal 2007 l’economia britannica, che ha un alto grado di internazionalizzazione e quindi è esposta al rischio di recessione a causa della caduta della domanda internazionale, ha conosciuto la prima flessione dopo quasi un decennio e la tendenza negativa è continuata l’anno seguente, con l’entrata ufficiale in fase recessiva. Per combatterla il governo ha dovuto varare una serie di misure, fra cui la parziale rinazionalizzazione delle banche.
L’agricoltura, intensiva e meccanizzata, riveste un ruolo marginale (0,9% del PIL nel 2008), nonostante l’elevato livello di produttività. L’azione delle politiche agricole comunitarie ha infatti contribuito a disincentivare le coltivazioni eccedenti (cereali soprattutto). Gli addetti al comparto sono meno del 2% del totale della forza lavoro. L’allevamento, che contribuisce per i 2/3 al reddito del settore primario, ha invece uno sviluppo tale da consentire anche l’esportazione e da sostenere un indotto industriale molto rilevante. La pesca è un’importante fonte di reddito e di occupazione, e copre circa i due terzi del fabbisogno interno; la flotta peschereccia rappresenta il 9% di quella europea per numero di battelli e il 12% per tonnellaggio.
Il settore garantisce il 22,8% del PIL (2008) e occupa circa il 18% della forza lavoro. Anche la G. è stata investita dalle spinte delocalizzative tipiche delle economie mature e dalla concorrenza dei paesi emergenti; a farne le spese sono stati in primo luogo la siderurgia e il tessile, che hanno dovuto ridurre impianti e occupazione, poi la cantieristica e, più gradualmente, l’industria automobilistica. Per quel che riguarda l’industria manifatturiera nel suo insieme il Regno Unito continua a rappresentare uno dei paesi meglio e più variamente attrezzati. Ancora rilevante è l’industria estrattiva, anche se solo nel comparto energetico.
Cospicui sono gli sforzi per sviluppare la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica nella produzione industriale, con la tendenza a realizzare sia centri scientifico-tecnologici ad alta qualificazione, sia distretti industriali integrati.
Il paese è fra i maggiori produttori mondiali di idrocarburi: l’estrazione di petrolio dai giacimenti della piattaforma continentale del Mare del Nord e dai giacimenti minori di terraferma procede a buon ritmo e, con oltre 74,6 milioni di t annue (2007), il paese si colloca al 17° posto della graduatoria mondiale, mentre per il gas naturale detiene la settima posizione (circa 80 milioni di m3 nel 2007). Vasta è la rete di oleodotti: i principali tratti si estendono tra Finnart e Grangemouth, tra Purbeck e Southampton, tra Cruden Bay e Grangemouth, tra Tranmere e Heysham.
Il Regno Unito ha registrato un’imponente crescita del settore dei servizi (in particolare del cosiddetto terziario avanzato), che realizza oltre due terzi del prodotto interno e occupa l’80% della popolazione attiva. Significativo il ruolo delle attività di intermediazione commerciale, bancarie, assicurative e finanziarie in genere, che nella città di Londra hanno trovato per lunghissima tradizione una delle principali sedi su scala mondiale. Notevole è anche il rilievo raggiunto dal settore turistico (30.654.000 visitatori nel 2006).
La navigabilità dei fiumi e la disponibilità di carbone hanno favorito un rapido sviluppo delle comunicazioni terrestri e fluviali, proceduto insieme alla crescita commerciale e industriale. La densità della rete ferroviaria è più forte nell’Inghilterra e nel Galles, diminuisce notevolmente nella Scozia; la sua lunghezza complessiva in esercizio è di 19.966 km (2006). La lunghezza della rete stradale è di circa 388.000 km (2007) e come volume di traffico si sta sensibilmente avvicinando a quella ferroviaria, malgrado la G. sia molto in ritardo nella costruzione delle autostrade (3476 km). Data la natura insulare e la facile approdabilità, il complesso portuale della G. è tra i più importanti del mondo, anche se l’allentarsi dei rapporti con il Commonwealth ha determinato la perdita di un secolare primato. La mancanza di un’adeguata ristrutturazione delle attrezzature non consente alla G. di confrontarsi con l’evoluzione che hanno avuto molti altri porti europei. Londra, a pochi chilometri dal mare, sul Tamigi, è il maggiore porto britannico e, oltre ad alimentare il più grande flusso commerciale interno, esercita ancora una notevole funzione di smistamento verso gli altri paesi del continente; seguono Liverpool, Manchester, all’interno, raggiunta da un canale; Glasgow, che è il maggiore porto scozzese; e quindi Southampton, Newcastle-upon-Tyne, Dover, Cardiff e Bristol.
Oltre agli Stati Uniti, i principali partners commerciali della G. appartengono all’Unione Europea.
La fine dell’occupazione romana della Britannia (per le cui vicende in età pre-romana e romana ➔ Britannia) è considerata di solito contemporanea all’invasione della Gallia da parte dei popoli germanici (406) e al sacco di Roma (410). Iuti, Angli e Sassoni raggiunsero la costa o penetrarono nell’interno risalendo i fiumi. La loro facile conquista non fu seguita da una politica di sterminio e nella struttura sociale del periodo anglosassone sopravvissero elementi della civiltà romana.
Le basi dei regni inglesi furono poste tra la metà del 5° sec. e la metà del 6° sec.; vi opposero maggiore resistenza il Galles, a lungo celtico, e soprattutto la Scozia. Nel Sud si ebbe il piccolo Regno di Kent; particolare importanza ebbe il Regno di Northumbria, fondato da Etelfredo (593-617), nipote di Ida re di Bernicia, che estese i propri domini fino ai confini del Galles, e per un certo tempo unì ai propri territori il Regno di Deira, nella Northumbria meridionale. Dopo aver raggiunto una notevole prosperità con Oswiu (654-71), il Regno di Northumbria declinò e nell’8° sec. la supremazia passò al Regno di Mercia sotto Etelbaldo (716-57) e Offra (757-96); il centro politico dell’isola si trasferì poi nel Regno di Wessex con Egberto (802-39), che nell’823 conquistò il Kent e nell’827 divenne supremo signore dei Northumbri. Nell’870 i Danesi invasero l’Anglia orientale, le Midlands dell’Est e occuparono parte del Wessex, che poi abbandonarono.
Dopo un periodo di potenza dei re del Wessex, sotto Edgardo il Pacifico (959-75), le incursioni dei Danesi ricominciarono e culminarono nell’invasione del re Sven (1013). Il figlio Canuto raccolse intorno a sé parte della nobiltà sassone e nel 1016 fu incoronato re del Wessex. Sotto Canuto l’ealdorman, capo militare e civile dei distretti del regno, divenne conte e l’isola fu divisa in contee, tra le quali assunsero particolare importanza Mercia e Wessex. Edoardo il Confessore (1042-66), eletto dall’assemblea dei nobili, governò cercando un equilibrio tra le lotte dei cortigiani. In queste lotte s’inserì, alla sua morte, il duca di Normandia Guglielmo, che sconfisse il nuovo sovrano Aroldo a Hastings (1066) e conquistò l’isola, facendosi incoronare re; negli anni successivi stroncò le rivolte interne e respinse l’invasione danese (1067, 1072).
Con la conquista normanna il feudalesimo si affermò come sistema politico. Guglielmo il Conquistatore divise la terra tra i suoi seguaci, che a loro volta concessero il proprio dominio in feudo a vassalli minori. L’unità economica del sistema feudale fu il castello (manor), l’unità politica fu costituita dal feudo del cavaliere. Le istituzioni politiche e giudiziarie del periodo sassone furono mantenute, tuttavia il potere degli ealdormen locali declinò, mentre cresceva l’importanza dei funzionari della corona, come gli sceriffi. Il monopolio dell’educazione e dell’istruzione rimase al clero; i tribunali ecclesiastici furono separati da quelli laici.
Enrico I (1100-35) limitò l’accrescimento dei possessi feudali e l’influenza baronale nella curia regis, incoraggiando una nuova classe di magnati, che dovevano la loro elevazione unicamente al re. Inoltre iniziò una riorganizzazione della giustizia, continuata dal primo re plantageneto, Enrico II (1154-89), che da un lato tentò di sottoporre alla propria giurisdizione la gerarchia ecclesiastica, dall’altro ampliò la giurisdizione della curia regis, cui corrispose una diminuzione del potere dei tribunali locali. Al regno di Riccardo Cuor di Leone (1189-99), soprattutto impegnato nella 3ª crociata, succedette quello di Giovanni (1199-1216) detto Senzaterra, che vide la perdita della Normandia a vantaggio di Filippo II di Francia (1204) e il grave dissidio tra baroni e sovrano. La perdita della Normandia determinò un attrito che vide i feudatari allearsi con Filippo II Augusto, in procinto di invadere l’Inghilterra, anche per istigazione di Innocenzo III. Tale attrito sfociò in lotta aperta con il papa, di cui alla fine Giovanni si proclamò vassallo. Sconfitto a Bouvines (1214) dai Franco-Svevi, Giovanni, per sedare almeno la crisi interna, concesse la Magna Charta (1215), che riconosceva alla nobiltà, alla Chiesa e ai comuni le loro tradizionali libertà di fronte alla corona.
Sotto Edoardo I (1272-1307) si ebbe uno sviluppo delle istituzioni parlamentari, quale era stato in precedenza auspicato da Simone di Montfort con le Provvisioni di Oxford (1258). Il regno di Edoardo I fu caratterizzato anche da una limitazione del potere dei baroni e dal tentativo di dominio inglese sulla Scozia, fallito con la sconfitta di Bannockburn (1314). I dissidi tra i baroni e la corona ripresero durante il regno di Edoardo II (1307-27). Il figlio Edoardo III, nel tentativo di difendere i domini inglesi in Aquitania contro il re di Francia Filippo VI, innescò nel 1337 la guerra che fu poi detta dei Cent’anni (➔ Cent’anni, guerra dei). Il susseguirsi delle campagne militari e di pestilenze (1349, 1361-62, 1369) si accompagnò a un periodo d’irrequietezza economica, politica e religiosa (rivolta dei contadini del 1381, movimenti religiosi ereticali dei lollardi e di J. Wycliffe) che segnò il tracollo dei latifondisti feudali, l’arricchirsi del ceto dei mercanti e imprenditori e il declinare della potenza del Parlamento.
Dopo la forzata abdicazione del debole re Riccardo II (1399), cui succedette il duca di Lancaster con il nome di Enrico IV, si ebbe una serie di spedizioni che culminarono con l’annessione del Galles. Intanto riprendeva la guerra con la Francia: Enrico V (1413-22), con la vittoria di Azincourt (1415) e la Pace di Troyes (1420), vide formalmente assicurata alla corona inglese la successione al trono di Francia, ma dopo la sua morte si ebbe un progressivo arretramento delle posizioni inglesi, che portò infine alla perdita nel 1543 della provincia della Guienna nella Francia sud-occidentale. Su queste sconfitte in politica estera s’innestarono i contrasti tra le case di Lancaster e di York, sfociati nella guerra delle Due Rose (➔ Due rose, Guerra delle). La monarchia cadde in preda a contese personalistiche, che nascondevano una profonda crisi politica e amministrativa, in cui l’Inghilterra si dibatté fino all’ascesa dei Tudor. L’uccisione in battaglia di Riccardo III (1485) segnò la conclusione della guerra delle Due Rose e l’ascesa al trono di Enrico VII Tudor.
La valorizzazione dell’Atlantico dovuta alle grandi scoperte geografiche spinse sempre più gli Inglesi verso l’attività marinara; le manifatture ricevettero un impulso decisivo verso la creazione della prima grande industria, quella della lana, agevolata dall’afflusso degli abilissimi profughi dei Paesi Bassi spagnoli. Da semplice paese esportatore di lana l’Inghilterra divenne rapidamente un paese esportatore di pannilani, mentre la marina commerciale faceva concorrenza alle flotte straniere nei loro paesi d’origine e nelle colonie d’oltreoceano. Questa profonda trasformazione della società aggravò le condizioni dei contadini, espropriati in seguito al grande movimento delle enclosures, la recinzione delle terre agricole comuni, e schiacciati dalle ripercussioni della ‘rivoluzione dei prezzi’.
Nella politica internazionale si ebbe un sapiente gioco di spostamenti e interventi nelle grandi lotte continentali di Spagna, Francia e Impero, diretto a impedire il consolidamento di egemonie pericolose e ad assicurare le condizioni più favorevoli allo sviluppo della potenza inglese. In politica interna, le conseguenze della trentennale lotta delle Due Rose, che aveva stroncato e dissanguato la grande nobiltà feudale mentre non si era ancora formata una nuova forte classe terriera e commerciale, insieme al malcontento diffuso contro la nobiltà e contro il clero, fecero sì che si rafforzassero le prerogative e il potere della monarchia, che assunse un carattere decisamente assolutistico, organizzando una Chiesa nazionale svincolata da Roma e dipendente dalla corona ed eliminando le prerogative di controllo del Parlamento.
Enrico VII (1485-1509) riassestò le finanze del regno e accumulò enormi somme di denaro che lo resero indipendente dal Parlamento, da lui convocato non più di una volta all’anno; in politica estera, cercò di reagire al rafforzamento della Francia avvicinandosi sempre più alla Spagna.
Enrico VIII (1509-47) proseguì questa linea politica, intervenendo accortamente nei contrasti continentali in aiuto degli imperiali. La situazione mutò per la decisione del re di divorziare dalla prima moglie Caterina d’Aragona e insieme per lo sviluppo di tendenze di riforma religiosa che trovarono terreno favorevole nel sentimento di sdegno per le condizioni degli organismi ecclesiastici, che assorbivano, con le rendite di vastissimi possessi e con le decime, tanta ricchezza nazionale. La situazione degenerò in rottura tra il re e il papa Clemente VII: si giunse pertanto al distacco da Roma (Atto di supremazia, 1534) e alla trasformazione e riorganizzazione della Chiesa d’Inghilterra sotto il re. Dal punto di vista della compagine territoriale, nel 1536 il re aveva incorporato tutto il principato di Galles e la regione detta Marca gallese, e aveva poi iniziato il processo di assorbimento dell’Irlanda. Dopo il regno del giovane Edoardo VI (1547-53) e il tentativo di Jane Grey (1553), si ebbe il regno di Maria (1553-58), che cercò con violenze e persecuzioni di reintrodurre il cattolicesimo e la dipendenza da Roma. A questo tentativo corrisposero, in politica estera, l’impopolare alleanza con la Spagna, voluta dal re Filippo II, marito di Maria, e la campagna conclusasi con la perdita di Calais (1558).
La nuova regina, Elisabetta I (1558-1603), dopo aver firmato la pace con Francia e Scozia, cercò di svolgere una politica religiosa intermedia. Da un lato si contrappose ai cattolici, dall’altro ai calvinisti scozzesi legati a J. Knox, che nel 1568 aveva costretto la regina scozzese Maria Stuarda a rifugiarsi in Inghilterra. L’intrinseca pericolosità di quest’ultima indusse Elisabetta a metterla a morte (1587). Le vicende della guerra di religione in Francia e della lotta per l’indipendenza dei Paesi Bassi fecero di Elisabetta la maggiore rappresentante, insieme con Guglielmo d’Orange, della lotta dei protestanti contro la Spagna.
L’audace guerra di corsa condotta in funzione antispagnola gettò le basi della grande potenza marinara dell’isola, che rifulse già nella vittoria sull’Invincibile Armata (1588) e si sviluppò poi in attacchi alle colonie spagnole e nelle lucrose attività della tratta degli schiavi e del contrabbando, nell’esplorazione e nella colonizzazione della Virginia, nell’organizzazione commerciale per i traffici oltremarini. In politica internazionale l’Inghilterra, vittoriosa sulla Spagna, aveva un peso superiore a quello della Francia e dell’Impero, dilaniati dalle lotte di religione. Il regno di Elisabetta, caratterizzato dalla straordinaria fioritura letteraria, artistica e culturale, fu suggellato (1603) dalla conquista dell’Irlanda.
A Elisabetta succedette il figlio di Maria Stuarda, Giacomo VI di Scozia (1603-25), che per la prima volta riunì le tre corone d’Inghilterra, Scozia e Irlanda. La sua politica assolutistica, proseguita da Carlo I (1625-49), determinò un contrasto sempre più grave tra corona e Parlamento. Entro quest’ultimo, le forze della media aristocrazia campagnola (gentry) e della nuova borghesia cittadina, in parte animate dallo spirito intransigente dei gruppi puritani, si opponevano ai tentativi degli Stuart di instaurare una prassi di governo personale e di introdurre forme concilianti di protestantesimo o, come si disse, di criptocattolicesimo. L’apertura del Lungo parlamento (➔ parlamento) e le successive vicende trasformarono i contrasti politici in guerra civile (1642; fig. 2).
Mentre intorno al re si schieravano anglicani, cattolici e la maggioranza dei gentiluomini (cavalieri), la massa dei borghesi, dei piccoli proprietari rurali, dei puritani e degli indipendenti – le cosiddette ‘teste rotonde’ – costituì l’esercito del Parlamento. Il suo capo, O. Cromwell, seppe trarre dalla vittoria militare tutte le possibili conseguenze politiche, fino all’imprigionamento, al processo e alla condanna a morte del re (1649). Dopo un tentativo d’instaurare una repubblica oligarchica, si venne a una dittatura di Cromwell (1653), che assunse il titolo di lord protettore e consolidò il suo potere con una ferrea politica interna e un’audace politica estera: la vittoria della guerra contro l’Olanda seguita all’Atto di Navigazione (1651) sancì il dominio inglese sui mari. Ma fu un regime effimero, legato alla forte personalità di Cromwell. Il figlio, Riccardo, abbandonò il potere dopo pochi mesi (1659) e dopo una serie di contrasti interni si giunse alla restaurazione stuardista con Carlo II (1660).
L’opposizione parlamentare rinacque; la politica di acquiescenza alla Francia di Luigi XIV, svolta da Carlo II e dal ministero detto della Cabala (1667-73; così detto dalle iniziali dei nomi dei cinque componenti più importanti: Clifford, Arlington, Buckingham, Ashley e Lauderdale), suscitò grandi critiche. Il contrasto si aggravò per il problema della successione a Carlo II, nella persona del fratello, il cattolico Giacomo (II). Nel corso della lotta per la votazione del bill d’esclusione e nella votazione del bill dell’Habeas corpus, che garantiva la libertà personale contro gli arbitri regi (1679), si andarono differenzian;do i due partiti dei tories e dei whigs, il primo sostenitore e il secondo limitatore delle prerogative reali. Giacomo (II) represse con durezza le rivolte anticattoliche e l’insurrezione capeggiata da J. Monmouth (1685). Quando gli nacque un figlio che fu battezzato cattolico, la situazione precipitò e le correnti d’opposizione fecero appello a Guglielmo d’Orange, marito della figlia primogenita del sovrano. La ‘pacifica’ rivoluzione (1688) fu suggellata dall’accettazione di una dichiarazione dei diritti (1689), mirante a garantire i diritti del popolo inglese e a fissare i rapporti tra monarca e Parlamento.
Nel periodo compreso tra l’avvento di Guglielmo e quello della dinastia degli Hannover, si ebbe un consolidamento dell’unità nazionale, attraverso l’Atto di unione con la Scozia (1707), e l’assunzione del nuovo nome di G., mentre si gettarono le basi dell’ostilità antifrancese (partecipazione alla guerra della Lega d’Augusta e alla guerra di Successione spagnola), che proseguì per tutto il 18° secolo. Nello stesso periodo prese corpo l’impero coloniale inglese. In politica interna, nacque la nuova figura del primo ministro e iniziò a crescere l’importanza della Camera dei Comuni a spese di quella dei Lord.
Alla morte di Anna (1714), succeduta nel 1702 a Guglielmo III, l’ascesa al trono degli Hannover con Giorgio I (1714-27) segnò il prevalere del partito whig, più risolutamente antistuardista. Questo periodo è caratterizzato dal dominio del primo ministro whig R. Walpole (1721-41), che svolse una politica di pace, di riforme e di consolidamento costituzionale. Ma parte del suo stesso partito finì per reclamare un maggiore intervento nelle questioni europee: la caduta di Walpole si tradusse nella partecipazione alla guerra di Successione austriaca. Nel 1754-63 tenne il governo W. Pitt, che condusse la G. alla guerra dei Sette anni contro Austria e Francia; la vittoria assicurò un’enorme espansione del dominio marittimo e coloniale britannico. Pitt fu scalzato dal nuovo indirizzo di politica autoritaria e personale iniziato da Giorgio III, che seppe giocare sulle divisioni dei whigs, assicurando il trionfo dei tories e di W. Pitt il giovane nelle elezioni del 1784. In questa nuova situazione s’inserì il movimento insurrezionale delle colonie americane, il cui distacco fu sancito dalla Pace di Parigi del 1783.
Ma la G. di questo periodo fu soprattutto il paese della rivoluzione industriale: sorsero nuove vie di comunicazione, nuovi agglomerati urbani; la rapida proletarizzazione degli abitanti delle campagne significò urbanesimo e nascita del problema del pauperismo. Poi la Rivoluzione francese e l’intervento massiccio della G. nelle guerre delle coalizioni antifrancesi posero a lungo in primo piano i problemi di politica estera, ostacolando i tentativi di riforme interne.
La lunga lotta con la Francia, iniziata nel 1793, interrotta dall’effimera Pace di Amiens (1802), acuì i contrasti all’interno e costrinse a misure eccezionali, come l’Atto di unione dell’Irlanda alla G. (1800), che creò le premesse del problema irlandese. La G. sostenne fame, carestie, disoccupazione, prima di vincere la minaccia rivoluzionaria e napoleonica. Aveva spezzato il tentativo francese di egemonia continentale, aveva accresciuto il suo impero coloniale e la sua potenza navale: il suo primato nelle colonie e sui mari si presentava incrollabile. Aveva lavorato con successo a Vienna per creare sul continente europeo un assetto che le permettesse di svolgere una politica d’equilibrio e di fronteggiare nuovi tentativi egemonici: gli stretti rapporti rinsaldati con la monarchia asburgica le permettevano di contare su un alleato efficace contro la direttiva espansionistica russa in direzione degli Stretti. Ma lo sforzo sostenuto aveva aggravato il debito pubblico e innalzato il costo della vita, soprattutto per la politica di rigido protezionismo agrario voluto e attuato dai grandi proprietari dominanti nel Parlamento.
Dal punto di vista politico e amministrativo la G. era rimasta immobilizzata in forme e sistemi che già nel Settecento avevano suscitato critiche e tentativi di riforme. L’amministrazione locale e quella della giustizia erano sempre in mano all’aristocrazia fondiaria, la gentry. Il regime elettorale assicurava il predominio dei proprietari terrieri di fronte ai nuovi ceti borghesi industriali e commerciali. L’abilità di uomini politici come G. Canning, lord C. Grey, R. Cobden, R. Peel, fu di intuire i pericoli rivoluzionari insiti in questi contrasti, e di attuare una politica di riforme graduali ma coraggiose (riforma elettorale, abolizione del dazio sul grano e vittoria del liberoscambismo), che svecchiarono le strutture del paese, assicurandone lo sviluppo economico e sociale, e sventando nello stesso tempo ogni tentativo rivoluzionario (➔ cartismo).
In politica estera, dopo la linea seguita da R.S. Castlereagh di sostanziale appoggio al sistema della Santa Alleanza, si ebbe l’azione di G. Canning in favore dell’indipendenza degli Stati dell’America Latina e della Grecia e, con il ritorno al potere dei whigs, l’audace politica di H.J.T. Palmerston.
Salita al trono la regina Vittoria (1837), le riforme interne si accompagnarono alla tutela dei tradizionali interessi britannici in campo internazionale e coloniale. Bloccate le ambizioni francesi di espansione nel Medio Oriente (crisi del 1840) e i tentativi della Russia d’impadronirsi degli Stretti accedenti al Mediterraneo, Palmerston appoggiò il movimento nazionale italiano per introdurre un elemento equilibratore contro eventuali tentativi di egemonia francese nel Mediterraneo. Il passaggio dal protezionismo al liberoscambismo si compì sotto il prevalere del partito liberale, al potere dal 1846 dopo la disgregazione del partito conservatore, determinata dal distacco di R. Peel e dei suoi seguaci. Palmerston e J. Russell furono gli uomini più in vista del partito, e accanto a loro emerse W.E. Gladstone. Nel ventennio liberale continuò intensa l’ascesa economica e industriale del paese. L’aumento della ricchezza fece sentire i suoi effetti su tutte le classi: di qui una ripresa del movimento operaio, attraverso l’azione sindacale delle trade unions.
B. Disraeli, esponente del nuovo torismo, fece approvare una nuova riforma elettorale (1867) e attuò riforme sociali che canalizzarono nell’alveo legale le opposizioni operaie. Parallelamente, fu fautore in campo coloniale di una politica imperialista. Si ebbe così il consolidamento del dominio inglese in India, annessa alla corona dal 1858, in Cina, Africa, Medio Oriente (Afghanistan), il ridimensionamento dell’espansionismo russo (Trattato di Berlino, 1878). Nel 1876 la regina Vittoria fu proclamata imperatrice. Gladstone, tornato al potere (1880), continuò la politica espansionistica di Disraeli (insediamento in Egitto, 1882; occupazione della Birmania, 1885).
Il dissidio tra Gladstone e J.C. Chamberlain sulla questione dell’autonomia irlandese e sul programma protezionistico di quest’ultimo di unione doganale fra la G. e le colonie ebbe ripercussioni politiche di grande sviluppo: con i successivi governi conservatori in coalizione con i liberali unionisti staccatisi da Gladstone l’Impero fu portato a nuova espansione in Estremo Oriente e in Africa, nell’Oceano Indiano e sul Golfo di Guinea. L’assorbimento delle repubbliche boere (1899-1902) portò quasi a compimento il programma di C. Rhodes, inteso a costituire una serie ininterrotta di possessi britannici dal Capo di Buona Speranza al Cairo. La prima fase del governo del marchese di Salisbury, culminata nel 1898 nell’incidente di Fāshōda, fu essenzialmente antifrancese. Il timore della potenza tedesca e l’arrendevolezza francese nelle controversie coloniali delinearono gradualmente un nuovo sistema europeo: nel 1906, la conferenza di Algeciras vide uno schieramento che comprendeva G., Francia, Russia, Italia.
Le elezioni del 1906 segnarono l’avvento di radicali come D. Lloyd George ed E. Grey. Si consolidò in politica estera l’evoluzione in senso antitriplicista e tornarono all’ordine del giorno le riforme: nel 1910 la Camera dei Lord perse antiche prerogative e il potere politico fu concentrato ai Comuni.
Lo scoppio della guerra trovò la G. di fronte a problemi insoluti, con un governo in difficoltà per le reazioni provocate dall’approvazione dello Home rule irlandese e per gli scioperi suscitati dall’aumento dei prezzi. La violazione tedesca della neutralità belga fornì l’occasione all’entrata in guerra della G. (4 agosto 1914). Il fronte interno resse bene, ma in Irlanda il prolungamento del conflitto incoraggiò le correnti antinglesi: nella Pasqua del 1916 scoppiò a Dublino un’insurrezione capeggiata da P. Pearse, soffocata dall’intervento di truppe e di navi. L’esercito britannico operò in Francia, contribuendo ad arginare l’avanzata tedesca, e, con alterna fortuna, in Medio Oriente; sui mari, i Britannici, vittoriosi nella battaglia dello Jütland (31 maggio - 1° giugno 1916), non riuscirono tuttavia ad annientare la flotta germanica. Il programma di abbattimento dell’Impero turco convinse il governo a cambiare la linea tradizionale del Foreign Office, fino allora di sostegno agli Ottomani; all’azione filo-araba di T.E. Lawrence si accompagnò una politica di espansione imperiale (protettorato inglese sull’Egitto e annessione di Cipro). Nel 1916 i laburisti abbandonarono il gabinetto di unione nazionale di Lloyd George, sostituito da un ministero di coalizione conservatore-liberale guidato dallo stesso.
Nel dopoguerra le difficoltà economiche scatenarono le agitazioni operaie; nel 1921 Lloyd George dovette stipulare con il Parlamento autocostituitosi a Dublino (1919) un trattato che conferì all’Irlanda meridionale lo statuto dei dominions; in Medio Oriente, i nazionalismi arabo, egiziano ed ebraico creavano difficoltà diplomatiche e militari. Al predominio laburista (ministeri di J.R. MacDonald) inaugurato nel 1924 subentrò un governo di coalizione imposto dalla grande crisi economica. Il passaggio dal governo di coalizione alla fase di predominio conservatore avvenne senza scosse, al di là della crisi che portò all’abdicazione di Edoardo VIII (1936); si pose invece fuori del sistema politico britannico O. Mosley, a capo di un esiguo gruppo di fascisti inglesi. Il paese si trovò unito nel 1939, mentre si aggravava la minaccia del totalitarismo continentale, tenacemente denunciata dal conservatore W. Churchill.
Fallita la politica di contenimento pacifico tentata da N. Chamberlain, la G. dichiarò guerra alla Germania (3 settembre 1939); Churchill fu nominato primo lord dell’Ammiragliato e A. Eden ministro dei dominions. Dopo l’occupazione tedesca di Danimarca e Norvegia, la rinnovata unità nazionale si espresse nel governo Churchill-Attlee (maggio 1940), che avviò la cosiddetta ‘rivoluzione silenziosa’: poiché la vittoria era possibile solo con la mobilitazione totale del paese, s’imposero la riorganizzazione finanziaria e il dirigismo economico. Così nacque, nel 1942, quel progetto di assistenza sociale, di garanzie assicurative, di controlli alla produzione, noto come piano Beveridge, entrato in vigore nel 1948.
Pur vincitrice, la G. uscì dalla guerra stremata, con immensi problemi di ricostruzione economica e partecipe di uno scenario mondiale profondamente mutato. Se l’acquisizione di un seggio permanente presso il Consiglio di sicurezza dell’ONU le assicurò un ruolo di protagonista, gli equilibri generali non permettevano più la tradizionale politica egemonica e imperiale. Sul piano interno, le elezioni del 1945 furono vinte dai laburisti e il governo di C.R. Attlee (1945-51) gestì la prima fase del dopoguerra in bilico tra un programma di nazionalizzazione delle industrie di grande rilevanza economica e di promozione del welfare State e le ristrettezze del bilancio imposte dalla difficile ripresa postbellica, fronteggiate con gli aiuti statunitensi del piano Marshall e un regime di austerità fiscale. Sul piano internazionale, la G. si orientò da un lato verso una stretta collaborazione con gli USA (sulla scelta pesò anche il drammatico isolamento del paese nel 1940), della cui politica internazionale fu e rimase la più esplicita sostenitrice, fino a essere a lungo estranea al processo di integrazione europea; dall’altro subì, senza opporre una rigida resistenza la rapida disgregazione dell’Impero coloniale, che modificò anche il carattere e l’estensione del Commonwealth. Tra i problemi, anche cruenti, l’irrisolto conflitto tra la maggioranza protestante e la minoranza cattolica dell’Irlanda del Nord. Più travagliate le vicende in Medio Oriente, specie in Palestina nel processo che portò alla costituzione dello Stato d’Israele, in un quadro in cui risultò problematico anche il disimpegno da Egitto, Giordania e Iraq.
Il governo Attlee fu rovesciato nelle elezioni del 1951, che inaugurarono una serie di ministeri conservatori (Churchill 1951-55, A. Eden 1955-57, H. Macmillan 1957-63, A. Douglas-Home 1963-64), mentre nel 1952 morì re Giorgio VI, cui successe al trono Elisabetta II. La scena politica fu dominata dallo scontro tra gestione privatistica dell’economia e difesa dello Stato sociale, punti di riferimento dei maggiori partiti (rispettivamente il conservatore e il laburista), conflittuali in politica interna ma largamente convergenti in quella estera. La politica conservatrice, specie nella versione di Churchill, sulle prime non si distanziò molto da quella laburista: le nazionalizzazioni (tranne l’industria dell’acciaio) furono mantenute e non fu liquidato il welfare State. Fu in politica estera che, ritiratosi Churchill (1955), la condotta britannica ebbe un’impennata con la spedizione militare anglo-franco-israeliana contro l’Egitto (1956) – che aveva deciso di nazionalizzare il Canale di Suez –, risoltasi in un insuccesso politico e diplomatico; in patria questo fallimento – che peraltro ridimensionò ulteriormente l’influenza britannica nella regione – contribuì alla fine del governo Eden.
Con il governo di H. Macmillan (1958-63) emerse in pieno il difficile rapporto con l’Europa. La G. aveva contribuito alla creazione dell’European free trade association (1959) e aderito all’intesa politico-militare dell’Unione europea occidentale e al Consiglio d’Europa, ma aveva rifiutato già nel 1950 l’adesione alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), primo nucleo della CEE, cui nel 1958 aveva confermato l’estraneità; la richiesta d’ingresso nella CEE nel 1961 si scontrò con il veto francese. Questo insuccesso, insieme a uno scandalo che coinvolse il segretario di Stato alla guerra J. Profumo, ebbe peso nel segnare la sorte del governo Macmillan, cui seguì (1963-64) la breve esperienza di governo di A. Douglas-Home.
Riorganizzati attorno al nuovo segretario H. Wilson, i laburisti tornarono alla guida del paese nel 1964-70, operando una severa politica di bilancio e dei redditi. Nel 1970 dalle urne uscì una maggioranza conservatrice; il governo conservatore di E.R.G. Heath dovette fronteggiare l’esplodere delle tensioni in Irlanda del Nord e la più estesa disoccupazione del dopoguerra; riuscì però a portare la G. nella CEE (1973). Le elezioni del 1974 riconsegnarono il governo ai laburisti (Wilson, 1974-76; J. Callaghan, 1976-79); l’intervento del Fondo monetario internazionale con un prestito alimentò la difficile ripresa economica del 1977-78.
Nel 1979 tornarono alla guida del paese i conservatori, guidati dal 1975 da M.H. Thatcher, che assunse la carica di primo ministro (1979-90). Sostenitrice di un pronunciato liberismo, Thatcher inaugurò una politica rigidamente monetarista, varò un piano di privatizzazione delle imprese, decurtò le sovvenzioni statali alle imprese, tagliò spesa pubblica e prelievo fiscale. Nel 1982 la G. dichiarò guerra, sconfiggendola in pochi giorni, all’Argentina, che aveva occupato il possedimento britannico delle Isole Falkland. All’interno, la pesante sconfitta del lungo sciopero dei minatori del 1984-85 rappresentò una sorta di ‘canto del cigno’ della classe operaia e delle trade unions, mentre i tagli alla spesa pubblica creavano nuove sacche di povertà.
Nel 1990, a M. Thatcher, dimissionaria, successe J. Major. La tradizionale diffidenza tory verso il processo di unificazione europea si tradusse nell’abbandono del Sistema monetario europeo (SME), cui la G. aveva aderito nel 1990, e solo nel 1993 fu ratificato il Trattato di Maastricht, avversato da tanti esponenti conservatori. La prosecuzione della politica finanziaria fino ad allora adottata ottenne progressivamente buoni risultati sul piano del risanamento economico del paese, anche se a prezzo di un aumento del divario fra ceti più e meno abbienti. Anche sul piano internazionale, il governo Major dimostrò una sostanziale continuità con il thatcherismo. Ma una serie di scandali con accuse di corruzione e frode mise i conservatori, al governo da 18 anni, in una condizione difficile, mentre il partito era diviso anche sulla questione europea, rendendo sempre più isolata la posizione della G. in seno all’Unione.
Alle elezioni del 1997 il Labour party riportò una vittoria schiacciante. A determinarne la vittoria, oltre la debolezza del partito conservatore, fu l’abilità di T. Blair, alla guida del partito dal 1994, nel costruire «un’alternativa credibile». Con il suo governo la G. sembrò avviata a una fase politica nuova: non un semplice ritorno al laburismo, ma un tentativo di realizzare una ‘terza via’ tra liberalismo e socialdemocrazia. La fase politica del new labour sembrò introdurre nuove dinamiche sociali e in parte nuovi valori. Sulla base di un benessere economico che coinvolgeva prevalentemente le classi medie, il nuovo corso affiancò a una linea sostanzialmente pragmatica e liberale una forte carica etico-nazionalistica, mentre si rafforzava la presenza del paese sulla scena politica europea. Blair realizzò significativi risultati sulla via di un decentramento politico-amministrativo in Galles e Scozia, dove istanze autonomistiche si erano già sviluppate negli anni 1970.
Mentre acquisiva peso politico sulla scena europea, pur senza aderire all’Unione monetaria, il premier conquistò al contempo nuova forza e consensi sullo scenario mondiale grazie soprattutto ai successi ottenuti nell’Irlanda del Nord. Blair riaprì i colloqui dichiarando per la prima volta la disponibilità del suo paese a rinunciare alla pregiudiziale di sempre, il disarmo dell’IRA, per accettare la partecipazione del Sinn Féin ai negoziati e nell’aprile 1998 si raggiunse un primo accordo fra le parti, che ha avuto ulteriore sviluppo negli anni seguenti. Anche sulla base di ciò, le elezioni legislative del 2001 assicurarono al Labour party e al suo leader un’importante vittoria.
In campo internazionale, durante il governo Blair si rafforzò la politica d’intesa con gli Stati Uniti. Nell’intervento promosso dagli Stati Uniti in Afghanistan (ottobre 2001), la G. assunse un ruolo rilevante nella costruzione delle alleanze internazionali necessarie per la conduzione militare del conflitto, distinguendosi fra gli alleati europei per il forte sostegno alle scelte di Washington. Seguì una linea di stretta cooperazione con gli Stati Uniti anche in occasione della nuova crisi irachena, che nel 2003 condusse all’invasione anglo-americana del paese. Tuttavia, nove membri del governo si dissociarono dalla politica interventista di Blair. Negli anni successivi il governo fu più volte criticato per la gestione dell’intervento in Iraq, ma Blair, divenuto nel 2005 il primo leader laburista a ottenere un terzo mandato di governo, sebbene il Labour party avesse vinto le elezioni con un margine di voti molto ridotto, continuò a difendere l’unità di intenti con gli Stati Uniti nella cosiddetta ‘guerra al terrore’. Il dibattito sulla politica estera del governo, in particolare in riferimento al tema del ritiro dall’Iraq, fu alimentato anche da gravi attentati di matrice islamica a Londra del luglio 2005. all’Unione.
Nel giugno 2007 il ritiro dalla vita politica di Blair, che ha lasciato la guida del partito e del governo in favore di G. Brown, ha aperto una nuova fase, ma già l’anno successivo le elezioni amministrative mostravano un significativo calo dei consensi a favore dei laburisti. Nel 2009 il governo Brown si è trovato a gestire la difficile crisi economica e finanziaria, ulteriormente indebolito da una serie di scandali che hanno costretto alle dimissioni diversi membri dell’esecutivo.
Le elezioni politiche del maggio 2010, svoltesi in un clima di incertezza e di tensioni sociali provocate dalla grave recessione economica, hanno registrato un successo di misura del partito conservatore, che ha riportato il 36,1% dei suffragi contro il 29% dei laburisti, e un risultato deludente per i liberaldemocratici, che hanno ottenuto il 23% di preferenze. Dopo il fallimento delle trattative tra queste due coalizioni e le dimissioni di Brown, un accordo è stato raggiunto tra il leader dei tories D. Cameron (n. 1954), che è subentrato nella carica di primo ministro, e il leader liberaldemocratico N. Clegg (n. 1967), cui è stato assegnato l’incarico di viceministro. L’intesa ha di fatto avviato una nuova fase della politica britannica, riportando per la prima volta dall’epoca di Churchill un governo di coalizione alla guida del paese e ponendo fine a tredici anni di governo laburista. Sul piano delle relazioni internazionali, nel dicembre 2011 la G.B. non ha aderito al nuovo accordo intergovernativo, da affiancare al trattato Ue, per un'unione di bilancio con regole fiscali più stringenti mirante a risolvere l'aggravarsi della crisi del debito, che è stato sottoscritto dai restanti ventisei Paesi dell'Unione Europea e che dovrebbe fissare regole molto più rigide sulla politica fiscale nazionale per i 17 stati in cui si utilizza l'euro. Il veto posto da Cameron ha sollevato ampie critiche per il rischio di isolamento cui sottopone la G.B. e per la frattura che ha aperto all'interno dell'eurozona, ciò comportando anche la prima seria spaccatura nella coalizione di governo.
Nel 2014 i cittadini scozzesi hanno respinto attraverso un referendum la possibilità di una secessione dal Regno Unito, sebbene gli indipendentisti guidati dal primo ministro scozzese A. Salmond abbiano raggiunto oltre il 44,7% dei consensi, facendo sì che il governo centrale promettesse forme di devolution per la Scozia.
Alle elezioni politiche tenutesi nel maggio 2015 i conservatori hanno ottenuto la maggioranza assoluta, aggiudicandosi 331 seggi (36,8% dei voti) e vedendo riconfermato nella carica il premier Cameron che ha potuto dunque formare un governo monocolore, contro i 232 (30,5%) dei laburisti e i 56 seggi (4,7%) del Partito nazionale scozzese.
In seno alle istituzioni europee, la crisi economica che ha investito il Paese negli ultimi anni ha accresciuto i dubbi sulla volontà britannica di permanenza nell’Unione Europea, questione che il primo ministro Cameron, forzato dall'opposizione, ha deciso di sottoporre a un referendum fissato al giugno 2016. Per scongiurare una possibile Brexit, nel febbraio 2016 è stato raggiunto un accordo tra Gran Bretagna e UE, grazie al quale i leader europei hanno riconosciuto al Paese uno statuto speciale, consentendogli tra le altre cose di limitare per cinque anni anni prorogabili a sette l'accesso degli immigrati comunitari ad alcuni benefici del welfare e accordandogli il diritto di godere di modelli differenziati di integrazione nel progetto comunitario. Nonostante l'insinuarsi nel Paese di forti spinte isolazioniste, uno storico risultato è stato raggiunto alle consultazioni comunali svoltesi nell'aprile 2016, che hanno registrato a Londra la vittoria del Labour dopo otto anni e la nomina a sindaco della città di S. Khan, primo musulmano a rivestire tale carica in una città europea; la sinistra ha comunque perso consensi in Scozia, dove si è attestata come terzo partito, in Inghilterra e nel Galles. Al referendum sulla Brexit, svoltosi il 23 giugno 2016 con un'affluenza alle urne del 72,2%, il 51,9% circa dei cittadini britannici ha espresso parere favorevole all'uscita del Paese dall'Unione europea; a seguito del risultato elettorale Cameron ha rassegnato le dimissioni, subentrandogli nella carica dal mese di luglio T. May, già ministro degli Interni, che lo ha sostituito anche nella guida dei Tories, impegnandosi nel suo ruolo di premier a trattare le modalità più adeguate e convenienti per l'uscita dall’organizzazione internazionale e a trasformare tale distacco in un’opportunità per il Paese. Nell'ottobre 2016 May ha illustrato le fasi del processo di uscita - sulla base dell'art. 50 del Trattato di Lisbona che prevede un meccanismo di recesso unilaterale, cui seguiranno due anni di negoziazioni sui modi e i termini del distacco -, annunciando nel gennaio 2017 il piano di una Hard Brexit, che comporterà anche l'uscita del Paese dal mercato unico europeo; dopo l'ottenimento del consenso formale di Elisabetta II e l'autorizzazione della Camera dei Comuni e della Camera dei Lord all'avvio dell'iter, la procedura è stata formalmente avviata il 29 marzo 2017. Il mese successivo M. ha inoltre annunciato l'indizione di elezioni anticipate di tre anni rispetto alla scadenza naturale della legislatura nel 2020, volte a rafforzare il partito conservatore rispetto all'opposizione laburista. Tenutesi l'8 giugno, le consultazioni hanno però registrato una vittoria di misura del partito della premier, che non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta, conquistando 315 seggi contro i 261 aggiudicatisi dai laburisti di J. Corbyn, e costringendo May a siglare un accordo di governo con il Partito democratico unionista (Dup) nordirlandese - che ha fornito appoggio all'esecutivo in cambio dell'erogazione di un pacchetto di aiuti economici pari a 1,5 miliardi di sterline.
Dopo due anni di negoziati, nel novembre 2018 tra Londra e Bruxelles è stato siglato un accordo che non sembra alterare sostanzialmente la struttura dei rapporti con l’Unione europea, prevedendo la libera circolazione dei cittadini dei Paesi membri e lasciando attiva una zona di libero scambio nel rispetto delle normative comunitarie; in merito alla problematica questione dell’Irlanda del Nord, si è fatto ricorso a una clausola di salvaguardia a garanzia del mantenimento del confine aperto anche dopo il periodo di transizione post Brexit, mentre la Spagna ha ottenuto che l’accordo commerciale fra Londra e l'Unione Europea successivo a tale periodo di transizione non venga necessariamente esteso a Gibilterra. Il raggiungimento dell’accordo, che ha spinto alcuni ministri sostenitori di posizioni più intransigenti a rassegnare le dimissioni, ha prodotto profonde lacerazioni anche all’interno del Partito conservatore, evidenziando forti meccanismi di opposizione interna e una fragilità strutturale dell’attuale assetto di governo; dal gennaio al marzo 2019 il Parlamento britannico si è comunque pronunciato per tre volte contro l'accordo con l'Unione Europea patteggiato dalla premier, che nel mese di aprile ha accettato la proposta del presidente del Consiglio della UE D. Tusk per un'estensione della data di uscita del Paese dall’Unione europea dal previsto 12 aprile al 31 ottobre 2019, con la possibilità di anticiparla qualora il negoziato Londra-Bruxelles si concluda prima. Nel giugno successivo la premier May si è dimessa da leader del Partito conservatore, subentrandole dal luglio successivo in tale carica e in quella di premier del Paese B. Johnson; pochi giorni dopo le dimissioni, il partito conservatore della donna politica ha subìto una netta sconfitta alle elezioni europee, ottenendo il peggior risultato di sempre (9,2%), mentre si è affermato come prima forza politica del Paese il neofondato Brexit Party di N. Farage (31,7%), seguito dagli europeisti liberaldemocratici (20,5%) e dai laburisti di Corbyn (13,6%).
A un mese dalla sua nomina, nell'agosto 2019, al fine di impedire ulteriori trattative tra Regno Unito e Unione europea sul tema dell'imminente uscita del Paese dalla UE, il neoeletto premier Johnson ha annunciato la sospensione delle attività del Parlamento (prorogation) dal 9 settembre al 14 ottobre 2019, ciò che ha provocato durissime reazioni interne e della comunità internazionale e tra gli stessi tories, mentre le forze di opposizione hanno intrapreso azioni politiche per sfiduciare Johnson in modo da impedire una Brexit No Deal. Pochi giorni più tardi, nello stesso mese di settembre, Johnson ha perso la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni, e il Parlamento ha approvato una legge che obbliga il governo britannico a chiedere una proroga della Brexit qualora entro il 31 ottobre non venga raggiunto un accordo con l’Unione Europea; ciò nonostante, il 9 settembre 2019 il Parlamento ha comunque interrotto i lavori, che sono ripresi il 26 dello stesso mese dopo una sentenza della Corte suprema che ha dichiarato illeggittima la sospensione decisa del premier. Ulteriori negoziazioni con l'UE hanno consentito il mese successivo di rinviare la Brexit al 31 gennaio 2020, e nello stesso ottobre il Parlamento ha approvato la proposta di Johnson di indire elezioni anticipate, previste per dicembre. Le consultazioni hanno registrato la vittoria schiacciante dei conservatori, che con 365 seggi su 650 hanno conquistato la maggioranza assoluta, mentre i laburisti di Corbyn hanno ottenuto 202 seggi, peggior risultato dal 1935. Il 31 gennaio 2020 il Regno Unito ha ufficialmente lasciato l’Unione Europea, aprendo un periodo di transizione terminato il 31 dicembre, quando è stato ratificato un accordo provvisorio, in vigore dal 1° gennaio 2021, che sancisce un patto di libero commercio, regolamentando inoltre la cooperazione scientifica, culturale e nel settore della sicurezza, e ponendo restrizioni alla libera circolazione tra il Paese e l'Unione europea. Tale accordo è stato approvato definitivamente nell'aprile 2021, sancendo il passo conclusivo dell'uscita del Regno Unito dall'Unione europea. Nel periodo successivo il consenso accordato al premier Johnson è stato progressivamente eroso da una gestione incoerente dell'emergenza prodotta dalla pandemia da Covid-19 e della pressione migratoria, dai tentativi di violazione del Protocollo speciale in merito alla permanenza dell’Irlanda del Nord nell'Unione doganale europea dopo la Brexit e dal coinvolgimento in vari scandali come il cosiddetto “Partygate”, per il quale ha superato un voto di sfiducia nel giugno 2022. Costretto nel luglio 2022, dopo le dimissioni di numerosi membri del suo esecutivo, a lasciare la guida del Partito conservatore, ha ricoperto la carica fino alla nomina di M.E. Truss, che nel mese di settembre gli è subentrata nelle cariche di leader della formazione politica e di premier del Paese, rassegnando le dimissioni il mese successivo, a causa di sopravvenute divergenze all'interno dell'esecutivo sulla gestione della grave emergenza economica in atto nel Paese, sostituita nello stesso mese da R. Sunak.
Nel settembre 2022, a seguito della morte della regina Elisabetta II, è asceso al trono suo figlio maggiore, che ha assunto il nome di Carlo III re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, formalmente incoronato nel maggio 2023 con la consorte, Camilla regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Nel febbraio 2023 la presidente della Commissione europea U. von der Leyen e il premier britannico R. Sunak hanno raggiunto un accordo per agevolare le relazioni tra Regno Unito e Irlanda del Nord: l’intesa, denominata Windsor Framework, consente il libero scambio di alcune merci tra i due territori e prevede un meccanismo di emergenza in grado di derogare dalle norme del mercato unico europeo che l’Irlanda del Nord potrebbe ritenere svantaggiose. Nel luglio 2023 Il Paese ha formalmente aderito all'Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico.
La conquista normanna instaurò in Inghilterra il predominante influsso della Francia ed ebbe per primo effetto l’introduzione del francese come lingua ufficiale della classe al potere. La letteratura dell’Alto Medioevo si espresse in tre lingue: il francese, che fece prevalere la versificazione metrica su quella allitterativa, propria della poesia anglosassone; il latino, che rimase la lingua della Chiesa e degli eruditi, e l’inglese. Per due secoli, 12° e 13°, la produzione letteraria in inglese fu esigua e di scarso valore, quasi sempre indirizzata al popolo con fini religiosi e morali. Delle tradizioni anglosassoni, la sola a persistere tenacemente è il verso allitterativo. Gli scrittori colti si servivano del latino e del francese; le loro opere possono ricondursi alla tradizione latina medievale oppure rappresentare propaggini della letteratura francese oltre i confini, dando luogo alla letteratura anglo-normanna. In latino è l’Historia regum Britanniae (1136 ca.) del vescovo Goffredo di Monmouth, da cui si può datare il principio dell’arte narrativa inglese. La traduzione normanna dell’Historia, opera di R. Wace, servì di fondamento al primo poema arturiano inglese, il Brut di Layamon (m. forse all’inizio del 13° sec.).
Il ciclo arturiano, cui Gualtiero Map (12°-13° sec.) aveva dato carattere religioso, fornì, nei sec. 13° e 14°, materia per narrazioni in versi di avventure inventate e spesso di carattere prodigioso e soprannaturale, tra le quali una delle migliori è Sir Gawain and the green Knight (1375 ca.). La letteratura edificante d’ispirazione ecclesiastica, tra parecchie opere devote (Ormulum; Ancrene Riwle), rivela tocchi di fresca originalità nel contrasto (The owl and the nightingale, 1220 ca.). Sotto l’influsso francese, la lirica duecentesca è pervasa di chiarezza e allegria; esempio famoso il «Canto del cuculo», considerata la prima composizione secolare in musica.
Con il graduale subentrare del volgare inglese al latino e al francese sia a corte, sia nel Parlamento e nel tribunale, la letteratura in prosa andò risorgendo finché nella seconda metà del 14° sec., grazie anche a G. Chaucer e a J. Gower, il dialetto del Centro Orientale (East Midland) divenne lingua nazionale. A J. Wycliffe si deve l’ispirazione e, in parte, l’esecuzione della prima versione completa della Bibbia; più notevole per stile la prosa del Voiage and travaile of Sir John Mandeville Knights, racconto di un avventuroso viaggio in Oriente (1322-56). Oltre che per la tecnica del verso, la poesia allitterativa che fiorì nel 14° sec. nell’Ovest è vicina all’antica poesia anglosassone per lo spirito devoto e severo: l’opera più notevole di questa scuola è il poema allegorico Pearl. In versi allitterativi è anche il Piers Plowman di W. Langland, che rispecchia gli aspetti più foschi del Trecento.
Partito dall’imitazione del Roman de la Rose e dei suoi epigoni, Chaucer, attraverso l’esempio dei grandi trecentisti italiani (soprattutto G. Boccaccio), nei Canterbury tales, oltre a creare la prosodia inglese, offre un ricco quadro del Medioevo su un piano borghese-realistico. Tuttavia, solo il Chaucer minore, autore di poemetti allegorici, fu imitato. Il suo esempio fu più fecondo in Scozia (R. Henryson, W. Dunbar, 15°-16° sec.). Il periodo estremo del Medioevo è ben rappresentato dalla versione del Narrenschiff di S. Brant dovuta a A. Barclay (1509) e dalle allegorie satiriche di J. Skelton. Barclay fu il primo a introdurre in Inghilterra l’egloga pastorale. La poesia del 15° sec. fiorì nelle ballate e nelle liriche popolari anonime (The nut-brown maid; Chevy chase; Edward).
La prosa si trovava ancora in uno stato caotico, dovuto alle differenze dialettali e alla rapida evoluzione della lingua, quando iniziò la sua opera il primo stampatore inglese, W. Caxton, che pubblicò la prima edizione dei Canterbury tales e nel 1485 la Morte d’Arthur di sir T. Malory, rifacimento delle leggende arturiane in una prosa limpida e dolce.
Nel 15° sec. giunse al massimo della fioritura il dramma medievale inglese, con i miracle plays, divenuti monopolio delle guilds (corporazioni di arti e mestieri). Sotto Enrico III avevano avuto inizio i grandi cicli di rappresentazioni di soggetto biblico. In questi spettacoli si distinsero alcune città dove si tenevano fiere famose e dove esisteva una potente organizzazione corporativa: così Chester, Coventry, York diedero il nome ad altrettanti cicli, giunti a noi in forma più o meno completa. Accanto ai miracle plays sorse nel 15° sec. la morality, concentrata sul conflitto tra vizi e virtù (The castell of Perseverance e il capolavoro Everyman, 1500). Parallelamente si svolgevano celebrazioni popolari di antica origine pagana, le folk plays, connesse con il mutare delle stagioni.
L’azione dell’Umanesimo sulla letteratura in volgare fu lenta. La lingua inglese non aveva ancora acquistato il predominio nella prosa. A ostacolare l’impulso dell’Umanesimo contribuirono i primi riformatori religiosi, che concentrarono l’interesse su problemi teologici e filosofici, così che in Inghilterra il rinascimento religioso precedette quello letterario. W. Tyndale tradusse in inglese (1525) il Nuovo Testamento; la sua traduzione, completata da M. Coverdale, fu diffusa dopo lo scisma. Questa versione è chiamata la Bibbia di T. Cranmer, da colui che curò anche la compilazione del Book of common prayer; infine, la versione autorizzata della Bibbia (Authorized version, 1611) lasciò un segno profondo sulla prosa dei secoli successivi. Il Rinascimento inglese fu dunque permeato dal suo nascere dalle tendenze calvinistiche della Riforma; di qui il travaglio morale che vi fermentò e si riflesse nell’atteggiamento degli educatori e dei drammaturghi verso l’Italia, fissato nel celebre Schoolmaster (postumo, 1570) di R. Ascham, che ammira la romanità classica e denuncia la corrotta Roma papale e l’italianismo.
Durante il regno di Elisabetta l’esempio dato da T. Wyatt e H. Howard, che importarono dall’Italia il sonetto petrarchesco, non ebbe seguito. T. Watson e P. Sidney, i padri del sonetto elisabettiano, scrissero solo alla fine del 16° sec., quando il Rinascimento italiano entrava nella sua fase conclusiva. La preponderanza del teatro, su cui molto influiva il gusto popolare, impedì che andasse perduta la parte viva dell’esperienza medievale: lo spirito medievale persiste anche nell’allegorismo di E. Spenser che, pure, è tra i massimi rappresentanti inglesi del Rinascimento; con tipici travestimenti medievali fu tradotto in inglese il teatro di Seneca (1581) a cura di T. Newton. Questo modello fornì molte caratteristiche essenziali della tragedia elisabettiana: orrore, apparizioni di fantasmi, vendette, fatalità, morti stoiche. La prima tragedia inglese, Gorboduc (rappr. 1561; pubbl. 1565) di T. Norton e T. Sackville tratta al modo di Seneca un tema nazionale e usa per la prima volta in un dramma il blank verse, derivato dall’endecasillabo sciolto dei cinquecentisti italiani. Si scrissero imitazioni di Plauto e Terenzio a partire dalla prima commedia inglese Ralph Roister Doister, composta nel 1553 da N. Udall. Il modello italiano s’impose anche grazie agli spettacoli delle compagnie di comici dell’arte, i cui canovacci esercitarono il loro influsso sullo stesso W. Shakespeare.
Nonostante la maturità del sentimento nazionale (descrizione e celebrazione dell’Inghilterra in prosa e in versi), nella cultura e nel gusto del periodo elisabettiano predomina l’influsso straniero (soprattutto italiano). Le Vite di Plutarco tradotte dal francese (1579) da T. North, le novelle italiane, soprattutto di M. Bandello, divennero le fonti più utilizzate dai drammaturghi. Si ebbe un’improvvisa produzione di opere originali con i tre scrittori che si possono considerare gli iniziatori della poesia e della prosa d’arte del Rinascimento inglese: J. Lyly, E. Spenser (la Faerie queene, 1580-95, vasto poema incompiuto, resta il suo capolavoro), P. Sidney, che creò nell’Arcadia un tipo di prosa immaginosa e barocca. Parallelamente all’emulazione della letteratura classica e continentale, si definisce una concezione della poesia come sacro furore e fonte d’immortalità, e si forma la coscienza della missione del poeta (Defence of poesie di Sidney, 1598, il più importante esempio di critica letteraria elisabettiana).
La poesia elisabettiana raggiunge i vertici con il teatro. La corte si serviva per i suoi spettacoli delle compagnie drammatiche pubbliche; la composizione dei drammi era affidata ai drammaturghi assoldati da ogni compagnia e poiché essi seguivano il gusto popolare il dramma inglese assunse un carattere speciale, sottraendosi alla regola pseudoaristotelica delle unità e conservando l’aspetto di successione dei quadri come nei miracle plays e il personaggio del clown; il fatto che un dramma era proprietà di una compagnia ingenerò quella pratica di collaborazione e revisione che rende così difficile alla critica moderna l’attribuzione delle opere ai diversi autori. L’eterogeneità del pubblico ebbe un’importanza decisiva nel plasmare le caratteristiche del teatro elisabettiano. I drammaturghi dovevano soddisfare le esigenze degli spettatori più colti, presentando personaggi nobili e grandi avvenimenti, come nella tragedia classica, e nello stesso tempo accontentare il gusto popolare con azioni terrificanti, colpi di scena a effetto e introduzione di episodi comici. La riuscita combinazione determinò il carattere comune a tutto il teatro dell’epoca. Il periodo aureo del teatro iniziò con i grandi successi (poco prima del 1590) della Spanish tragedy di T. Kyd e del Tamburlaine di C. Marlowe. Magnetizzati dallo spettacolo che l’Italia offriva di splendori e di delitti (questi ultimi ingigantiti dalla polemica antipapista), i drammaturghi cercarono i propri soggetti nell’Italia contemporanea più che nella cronaca nera nazionale. La Spanish tragedy è il capostipite di una serie di tragedie di sangue e di lussuria, tra cui celebri The white devil e The duchess of Malfi di J. Webster. La veemente eloquenza dei personaggi di C. Marlowe (Tamerlano, Faust) e la potenza del suo blank verse echeggiarono a lungo nel teatro elisabettiano; nelle tragedie di G. Chapman la concitazione verbale si carica di senso del mistero.
In W. Shakespeare sono potenziate tutte le qualità che appaiono sparse negli altri drammaturghi; nei sonetti egli raggiunge i vertici della lirica meditativa. La sua grandezza si manifesta in pari misura nel tragico e nel comico e la straordinaria conoscenza della natura umana conferisce anche ai più insoliti avvenimenti delle sue tragedie maggiori un profondo significato spirituale. B. Jonson è il solo autore che segue i precetti classici, ma riuscì meno bene nella tragedia che nella commedia, in cui inaugurò il tipo della cosiddetta commedia di umori (con allusione alla teoria dei quattro umori del corpo umano). Con la nuova moda, lanciata da F. Beaumont e J. Fletcher, degli intrecci romanzeschi e sentimentali e delle squisitezze pastorali, i colori della tragedia si attenuarono, sebbene la maniera frenetica di C. Tourneur e di J. Webster trovasse tardi seguaci come J. Shirley e N. Lee. La campagna dei puritani contro il teatro trionfò nel 1642, quando il Parlamento, debellata la monarchia, decretò la chiusura dei teatri.
L’intensa attività letteraria del periodo si manifestò anche in altre forme di carattere popolare, per es., i romanzi popolari e umoristici di R. Greene, T. Nashe e T. Dekker. L’evoluzione della moda letteraria è evidente soprattutto nella poesia. T. Watson, e più ancora il già citato Sidney iniziarono la voga dei canzonieri. Si ebbe una fioritura rigogliosa, sebbene varia nel valore, di sonettisti: dopo Sidney e Spenser (Amoretti), tra gli altri, composero canzonieri di sonetti T. Lodge, S. Daniel, H. Constable, oltre allo stesso Shakespeare.
Nei primi anni del regno di Giacomo I si ebbe una crescente tendenza dei poeti verso le immagini cosiddette metafisiche, tratte cioè dall’erudizione e dalla scienza, che culminò in J. Donne. L’arguzia dei suoi concetti è in carattere col seicentismo europeo. La sua reazione trovò, in parte, un corrispondente nella prosa con T. Browne.
L’epoca dominata dalle controversie religiose e politiche, culminate nel trion;fo del puritanismo e nella dittatura di O. Cromwell, fu il periodo aureo della prosa e del verso ispirati agli ideali della Chiesa anglicana, il periodo dei grandi predicatori e dei lirici sacri. Nella poesia prevalsero i modi che J. Dryden avrebbe definito metafisici. Nella lirica profana A. Marvell trovò accenti che, da una parte, sembrano precorrere il Romanticismo e, dall’altra, preannunciare lo spirito della Restaurazione. A. Cowley introdusse in Inghilterra le strofe irregolari dell’ode pseudopindarica. I cosiddetti cavalier poets, poeti di parte monarchica: T. Carew, sir J. Suckling, R. Lovelace, R. Herrick, prendono da J. Donne la dialettica della passione e il concettismo, da B. Jonson la classi;ca regolarità del verso. Ma la reazione classicistica alla corrente metafisica si andava già annunciando con sir W. Davenant e con T. Hobbes, la cui filosofia esercitò un forte influsso nella seconda metà del secolo. La Restaurazione riconobbe i suoi precursori e modelli in E. Waller, autore di fredde poesie di occasione, e in J. Denham, il cui poemetto in heroic couplets (due pentametri giambici rimati) Cooper’s Hill (1642) è il diretto precedente del Windsor forest di A. Pope. Il classicismo di J. Milton, non ha nulla di accademico, dà corpo agli ideali di un’età ormai defunta, l’Umanesimo.
Milton rappresenta il conflitto tra la Rinascenza e la Riforma, giunto alla sua fase risolutiva. Paradise lost (1667) è il punto d’arrivo dei poemi eroici cristiani la cui voga risale al Cinquecento italiano; Samson Agonistes è la più compiuta riuscita di quella restaurazione del teatro dei Greci cui aveva mirato il Rinascimento. Milton compose e pubblicò il suo massimo poema quando il regime puritano era tramontato; ancora più tardi apparve il più popolare dei libri che esprimono la fede puritana, The pilgrim’s progress (1678) di J. Bunyan.
In questa epoca fiorisce anche il genere biografico, destinato a grande fortuna in Inghilterra: Lives, di I. Walton, autore anche del famoso The complet angler (1653), trattato sulla pesca con la lenza, opera di argomento non letterario entrata a buon diritto nella letteratura; Worthies of England (postumo, 1662) di T. Fuller.
Con il ritorno della monarchia riapparve pure il gusto del periodo carolino, che i cortigiani avevano portato con sé dall’esilio e modificato al contatto della Francia. L’influsso francese (teatro di P. Corneille) è evidente nelle tragedie eroiche (The Indian emperor, Tyrannic love, The conquest of Granada, ecc.) di J. Dryden, il massimo poeta dell’epoca. La tragedia eroica fu così chiamata sia perché scritta in heroic couplets, sia perché si propose di trattare vicende basate sui grandi temi dell’amore, del valore e del dovere. Ma l’epoca era eminentemente antieroica, e questo tipo di tragedia espresse solo una velleità e, sul piano letterario, un’imitazione. Ciò spiega la sua voga relativamente breve e il fatto che a porvi fine fu la parodia fattane da G. Villiers (The rehearsal; rappr. 1671). Dryden eccelse anche in un altro genere importato dalla Francia, la satira. Dalla Francia venne anche la moda del poema burlesco, culminata nel Hudibras (1663-78) di S. Butler, che prende di mira l’ipocrisia puritana. Uno spirito satirico e spesso cinico pervade anche le opere dei poeti di corte: su tutti, il trasgressivo J. Wilmot conte di Rochester, autore anche di liriche di squisita eleganza. La loro discendenza letteraria è dai cavalier poets. Dopo l’impeto fantastico della letteratura elisabettiana e metafisica, si ebbe un sopravvento della ragione, una ricerca di equilibrio nello stile che si volle aderente alla parlata nazionale. Tale appunto è lo stile caldeggiato dalla Royal Society (fondata nel 1662) e incarnato da Dryden.
Il predominio della ragione e della critica, il gusto per l’affermazione sentenziosa e l’epigramma, le condizioni di una società appena uscita da una ferrea dittatura religiosa e passata a una sfrenata licenza di costumi furono elementi che fecero di questa l’età d’oro della satira. Spiccatamente satirico è il carattere delle commedie, la parte più viva della letteratura della Restaurazione: W. Congreve con The way of the world diede una delle più belle commedie della letteratura inglese. Si tratta però di satira mossa da impulso razionale, non morale, quasi una critica non di natura etica, ma basata sull’intelligenza e sul gusto.
Il gusto rese gli scrittori consapevoli della necessità di ordine nella struttura delle opere e di uno stile accurato e raffinato. Shakespeare fu quindi considerato un barbaro e le sue opere furono riplasmate secondo i criteri dell’epoca: valga per tutti l’esempio di All for love (1678) con cui Dryden rifece Antony and Cleopatra. Nel periodo della Restaurazione la tragedia è rappresentata anche da T. Otway, T. Southerne, N. Rowe, oltre che dal tardo elisabettiano N. Lee. La società galante descritta nel diario di J. Evelyn e in quello di S. Pepys scomparve dopo la ‘gloriosa rivoluzione’ del 1688. Il Toleration Act (1689) chiuse il periodo acuto delle controversie religiose.
Il razionalismo si manifestò come corrosivo acume d’osservazione nell’amara requisitoria di J. Swift, che nei Gulliver’s travels creò una visione cupa e possente, un disperato incubo che mette in stato d’accusa l’umanità intera. Il prevalere dell’intelligenza e della ragione sulla fantasia fu illustrato dal massimo poeta dell’epoca, A. Pope (il suo poemetto eroicomico The rape of the lock è una perfetta espressione del Settecento arguto e brillante). L’ideale classico, che si era attuato sotto la regina Anna in un ambiente aristocratico, prese corpo sotto gli Hannover in una società più aperta. Una felice sintesi della cultura aristocratica e della morale borghese fu operata, al principio del 18° sec., da R. Steele e J. Addison in The spectator (tra il 1711-12 e il 1714), il più importante tra i numerosi periodici che fiorirono in quel periodo. Effetto del criticismo dell’età fu lo spostamento del centro letterario dal dramma al saggio e al romanzo, strumenti che più si adattano all’analisi dei sentimenti e dei costumi. A tale spostamento contribuì, oltre che il sorgere di una classe borghese mercantile, anche il razionalismo che, considerando la società opera dell’uomo e non più di una volontà superiore, portò in primo piano l’importanza dei costumi e dei rapporti tra individui. Sul piano moralistico, l’interesse per il costume mosse anche dalla reazione alla licenza prevalsa, almeno nella letteratura, durante la Restaurazione. Si ebbe così un ritorno ai modelli neoclassici francesi nella tragedia (in cui il solo autore di qualche merito fu G. Lillo) e una smaccata tendenza sentimentale nella commedia, che non si elevò al di sopra della mediocrità. Alla falsità di questo sentimento reagì R.B. Sheridan, che diede alla letteratura inglese un capolavoro con The school for scandal (1777).
Il romanzo diviene il portavoce della borghesia. Primo romanziere moderno è D. De Foe (Robinson Crusoe, Moll Flanders, Lady Roxana ecc.), che in A journal of the plague year diede un possente quadro della peste di Londra del 1665. Un fondo didattico moralistico è anche all’origine dei romanzi di S. Richardson, sulle cui orme, con maggior varietà d’interessi, si mise O. Goldsmith. H. Fielding con il romanzo Tom Jones (1749) è l’iniziatore della grande tradizione narrativa inglese. L’influsso della tradizione picaresca è dominante in T.G. Smollett, autore anche di opere storiche. Nei romanzi di L. Sterne l’analisi dei sentimenti abbandona ogni intento edificante e diviene fine a sé stessa, conseguendo con molto anticipo una piena libertà di struttura narrativa.
Nella seconda parte del 18° sec., S. Johnson impersonò il dogma classico già rappresentato da Pope e stabilì definitivamente il prestigio del letterato e la sua indipendenza da protettori e mecenati: la sua robusta personalità emerge in pieno nella biografia che gli dedicò J. Boswell. Nella poesia elegiaca si notano i primi accenni di una sensibilità nuova, che pervade di melanconia i versi di E. Young e di T. Gray, rappresentativi della cosiddetta poesia sepolcrale, iniziata da T. Parnell.
Alla fine del 18° sec. subentra nel gusto del pubblico la nostalgia del passato, da cui deriva l’apprezzamento nei confronti dell’Ossian di J. Macpherson e delle antiche ballate riesumate da T. Percy. Il nuovo gusto gotico si delineò nell’opera di H. Walpole e W. Beckford. Al risveglio dell’immaginazione si accompagnò quello del sentimento religioso con i due movimenti metodista ed evangelico (imbevuta di evangelismo è la poesia di W. Cowper). Un presagio del Romanticismo è anche nel realismo dei poemetti di G. Crabbe, mentre il senso del mistero fu dapprima coltivato sotto l’aspetto più appariscente, il terrore, nei romanzi di A. Radcliffe, M.G. Lewis e C. R. Maturin. Una controcorrente classicista si avverte nei romanzi delle scrittrici F. Burney e J. Austen.
Romantico per l’espressione diretta, popolaresca, il poeta scozzese R. Burns non ha dei romantici l’esasperata sensibilità, mentre la singolarissima personalità di W. Blake anticipa alcune posizioni del Romanticismo offrendo in unica sintesi istanze razionalistiche e mistiche.
Il ritorno alle tradizioni nazionali, popolari e contadine, annunciato nel programma delle Lyrical ballads (1798) di W. Wordsworth e S.T. Coleridge, è connesso con il rinnovamento delle basi etiche della società prodotto dalla Rivoluzione francese. Wordsworth, Coleridge e R. Southey, noti con l’appellativo di ‘poeti laghisti’ perché risiedevano nel Lake District, formano la prima generazione dei poeti romantici. Nella seconda generazione gli ideali di libertà politica e morale sono parte integrante dell’ispirazione di Lord Byron e di P.B. Shelley, mentre il terzo grande poeta di questa generazione, J. Keats, supera l’estetismo iniziale con la coscienza del significato della bellezza e del dolore nel mondo e della missione del poeta.
Il Romanticismo non produsse un teatro paragonabile alla poesia. Scrissero opere drammatiche Wordsworth, Coleridge, Shelley, R. Browning e A. Tennyson, ma tutti sono oggi ricordati per le loro opere poetiche, non per i loro drammi, con la sola eccezione possibile di Byron.
Il ruolo della letteratura drammatica fu occupato dai racconti di W. Scott che, romantico per il suo amore del pittoresco e del medievale, non ebbe nulla della più intima sensibilità romantica. Aspetti di questa sensibilità furono illustrati dai poeti minori (specie T. Moore, W.S. Landor) e dai saggisti. In C. Lamb, T. De Quincey, W. Hazlitt o in un eccentrico come T.L. Peacock si delinea quella evasione dal Romanticismo più impegnativo che formerà un carattere dell’età vittoriana.
L’espressione ‘compromesso vittoriano’ indica lo spirito di una società utilitaristica e perciò incline a ritenere la rivoluzione industriale un segno di progresso e un beneficio per l’umanità, chiudendo gli occhi sui molti e gravi problemi che la rivoluzione stessa aveva creato e sulla terribile miseria che aveva apportato a grandi masse della popolazione. Al posto di un reale interesse per i problemi e i mali della società, vi erano un falso umanitarismo e un ipocrita sentimentalismo: la morale si limitava all’osservanza delle forme esteriori e di una pruderie spinta fino al ridicolo, così come la religione era divenuta meramente convenzionale. La teoria dell’evoluzione, il positivismo e i progressi scientifici scossero le credenze tradizionali, ma si rifuggì dal dedurre le conclusioni estreme e si cercò invece di contemperare opposte esigenze in un equilibrio che si mantenne per buona parte del 19° secolo. Un ardore di fede puritana fu al centro della crociata di J. Ruskin, il primo a formulare l’idea di civismo mistico compendiata nella parola service. Anche C. Dickens combatté a suo modo con la sua opera a fianco degli idealisti.
L’arte rifletté largamente interessi di ordine pratico, soprattutto nel romanzo, che fu spesso a tesi: B. Disraeli, E.C. Gaskell, G. Eliot. L’esempio della scienza e il razionalismo dominante spinsero i romanzieri a essere deliberatamente realistici (A. Trollope, C. Reade) o a tornare al romanzo umorale o tipologico (W.M. Thackeray). La progressiva emancipazione femminile si manifestò anche con l’emergere di grandi narratrici (G. Eliot, le sorelle Brontë). La popolarità del romanzo andò di pari passo con la sua funzione di potente divulgatore d’idee; si iniziò a pubblicare romanzi a puntate e si scrissero romanzi di tipo poliziesco (W. Collins).
Gli interessi e i conflitti del momento trovarono espressione nella poesia. Il tormento del dubbio è al centro dell’ispirazione di M. Arnold e di A. Tennyson, contro la cui melodia si articola il contrappunto di R. Browning. Interessi sociali e soprattutto politici sono alla radice della poesia di E. Barrett Browning. Il carattere provinciale della domesticità vittoriana trova l’espressione più tipica in The angel in the house (1854-60) di C. Patmore. Le due espressioni della lirica religiosa di questa età, rappresentate dal cattolico Patmore e dalla protestante C. Rossetti, sono superate dall’opera creativa del gesuita G.M. Hopkins, la cui poesia, per la potenza e le innovazioni metriche, esercitò un profondo influsso sulle successive generazioni di poeti inglesi. A parte l’ispirazione occasionale, il carattere della poesia vittoriana è essenzialmente romantico: ciò è evidente nel movimento preraffaellita (D.G. Rossetti, W. Morris).
Il movimento generale di rivolta contro il compromesso che si delineò verso il 1875 fu precorso dalla pubblicazione dei Poems and ballads (1866) di A.C. Swinburne, che sfidò i lettori con l’ardente sensualità dei suoi canti. Da lui presero le mosse i decadenti e il movimento estetico che ebbe per esponenti W.H. Pater e O. Wilde. Alla corrente di pessimismo dilagante in quegli anni in Europa sono da collegare i romanzi di G. Meredith, G. Gissing e l’opera narrativa e poetica di T. Hardy. Il carattere cosmopolita che andò assumendo la letteratura inglese si accentuò con R.L. Stevenson e J. Conrad, e l’orizzonte nazionale si allargò alla visione e glorificazione del vasto impero offerta dalle opere di R. Kipling. Contro gli ideali vittoriani condusse una serrata campagna G.B. Shaw. H.-G. Wells trattò drammaticamente i problemi dell’umanità.
Intorno al 1910 si reagì alle artificiosità del decadentismo con il ritorno alla natura da parte dei Georgian poets, così detti perché fioriti durante il regno di Giorgio V. Tra questi, che ebbero come organo la rivista The London Mercury, è il poeta laureato R. Bridges. Ma il ritorno alla natura è rappresentato soprattutto da J. Drinkwater, W.H. Davies, L. Abercrombie, J.E. Flecker, J. Masefield, successore di Bridges come poeta laureato, e W.J. De la Mare. Parallelamente si svolse una letteratura ispirata dall’orrore della Prima guerra mondiale: ne sono rappresentanti S. Sassoon, M.B. Nichols, W. Owen, E. Blunden, R. Graves, ecc. Di poco posteriore fu il movimento degli imagists: R. Aldington, S. Flint, F.M. Ford, cui si trovò associata per qualche tempo l’eclettica personalità del poeta americano E. Pound, che svolse una funzione importante come tramite di scambi letterari tra la G. e il suo paese. Un gruppo di poeti, formatosi nel clima della Prima guerra mondiale, cercò in ideologie politiche di sinistra un nucleo di coscienza: W.H. Auden, la cui ricerca raggiunse una posizione di preminenza, C. Isherwood, passato poi a una fase narrativa, L. MacNeice, C. Day Lewis e S. Spender. Un posto a parte per la deliberata ambiguità verbale spetta a W. Empson, anche per la sua singolare opera di critico. Lo scozzese E. Muir è autore di poesie tradizionali nella forma, ma di una sensibilità moderna e di notevoli saggi critici. Tra i poeti è da menzionare anche E. Sitwell.
Nella narrativa, il decadentismo toccò l’estremo con le narrazioni di V. Woolf, interiorizzate e liriche, come sono anche, in minor misura, le novelle e i diari di K. Mansfield. Da collegare con la tradizione vittoriana sono invece i romanzi di E.M. Forster. Nei romanzi di D.H. Lawrence, l’aspirazione romantica a vibrare all’unisono con l’universo si traveste, sotto l’influenza della psicanalisi, nel mito del sesso. A Lawrence spetta un posto anche come poeta. Apparentemente nel solco di Swift è il romanzo satirico Animal farm (1946) di G. Orwell, che nel cupo 1984 (1949) offre una visione apocalittica degli effetti del totalitarismo sulla società. Il romanzo risente l’influenza di F. Kafka in R. Warner e di C.G. Jung in J. Cary; ricalca le orme della tradizione in C. Morgan e W.S. Maugham. Sui romanzieri cattolici (G. Greene, E. Waugh), tutti convertiti, sembra pesare l’originaria formazione calvinista.
Durante e dopo il secondo conflitto mondiale, sorse un movimento che si autodefinì ‘nuovo romanticismo’, di cui fu esponente il poeta gallese D. Thomas. Intorno agli anni 1950 e 1960, anche per la crescente influenza della letteratura americana, prese vita la generazione di romanzieri detta degli angry young men (dalla commedia di J. Osborne Look back in anger, 1956), esponenti di spicco e testimoni di una rivolta che, apparentemente condotta su un piano individuale, investì le radici stesse della società di quel tempo: J. Wain, J. Braine, A. Sillitoe, K. Amis; questi due ultimi, attenuatosi il realismo scettico degli anni 1960, trovano poi altre vie. Negli stessi anni vi fu anche il fenomeno di J.R.R. Tolkien, geniale inventore in Lord of the Rings (1954) di una mitologia che attinge alla tradizione celtica medievale. Nell’intersecarsi di temi e flussi narrativi che rispecchiano la frammentarietà dell’esperienza e della vita nel mondo contemporaneo, i narratori più rappresentativi di questo periodo sono considerati: W. Golding, potente manipolatore del;la prosa inglese contemporanea; A. Wilson, esegeta della trasformazione e dissoluzione della classe media britannica; I. Murdoch, autrice di tortuose situazioni narrative che arieggiano talvolta le cupe atmosfere del romanzo gotico; L. Durrell, raffinato ricreatore di atmosfere esotiche; il premio Nobel per la letteratura D. Lessing, nei cui romanzi l’invenzione fantastica è mediata dai continui richiami ai problemi politico-sociali; M. Spark, attenta osservatrice dei drammi umani; J. Fowles, uno degli scrittori più problematici e impegnati della narrativa britannica contemporanea; A. Burgess, autore di ben orchestrate invenzioni narrative che spesso indulgono al pastiche. Su modelli americani si articola la narrativa di M. Amis. Né vanno dimenticati scrittori provenienti dalle più disparate aree geografiche o linguistiche, come il premio Nobel per la letteratura V.S. Naipaul e S. Rushdie. La rappresentazione della storia e del contesto britannico viene infatti deformata e arricchita dagli sguardi ‘altri’ di romanzieri diversi tra loro per origine, lingua e formazione: K. Ishiguro, H. Kureishi, T. Mo.
Scomparsi negli anni 1990 dalla scena L. Durrell, W. Golding e A. Burgess, che garantivano la tradizione inglese del romanzo, una certa continuità rimane visibile nelle opere di M. Spark e di I. Murdoch, mentre D. Lessing ha seguitato a sperimentare vari generi. Si è arricchita, con il contributo di J. Symons e P.D. James, la tradizione della detective story. Sul versante della letteratura per l’infanzia, emerge la saga di Harry Potter ideata da J.K. Rowling. La nozione di narrativa ‘inglese’ appare, tuttavia, profondamente trasformata anche dalla varietà delle letterature e degli scrittori esterni che in questa lingua si esprimono. La tendenza alla contaminazione, alla riscrittura e al pastiche costituisce la caratteristica dominante della prosa contemporanea, evidente nei complessi intrecci storico-fanta-letterari dei romanzi e dei racconti di A.S. Byatt.
Nel campo della poesia, si affermano negli anni 1960 T. Gunn, T. Hughes (considerato uno degli autori più importanti della poesia contemporanea britannica) e P. Larkin, che continuano nei decenni successivi a risaltare con l’individualità della loro voce. Un rilievo progressivo ha assunto la poesia storica di G. Hill, che si avvale di un linguaggio aspro e indiretto; carattere parimenti esemplare ha la personalissima voce di S. Smith. La scuola poetica scozzese ha trovato un efficace interprete in D.E. Dunn. A un universo rurale gallese fa riferimento R.S. Thomas, voce presente con continuità nel panorama del dopoguerra, ma la rivendicazione più radicale di un’identità nordica ibrida e marginale è stata compiuta da T. Harrison, cantore dei conflitti culturali generazionali e linguistici legati alle sue origini di proletario di Leeds. È emersa nell’ultimo decennio del Novecento la poetessa J. Kay, dalla complessa identità scozzese, nera e omosessuale. Da segnalare, ancora, la guianese G. Nichols e G. Maxwell.
In campo teatrale, lo storico exploit di J. Osborne negli anni 1950 segna una svolta decisiva per il teatro britannico, che la generazione post-bellica vivifica con un linguaggio nuovo. Osborne, tuttavia, non ha seguaci o imitatori. Varietà tematica, indipendenza da qualsiasi modello precedente, estrazione working class e impegno politico sono alla base delle opere di A. Jellicoe, S. Delaney, J. Arden, A. Wesker, D. Storey. Parallelamente si sviluppa il teatro dell’assurdo, i cui maggiori rappresentanti sono considerati S. Beckett e H. Pinter, entrambi insigniti del premio Nobel per la letteratura. Sono accomunati dall’esplorazione dell’uomo e dei suoi problemi T. Stoppard, D. Mercer, H. Brenton, E. Bond, D. Hare, C. Hampton. Riesumano forme tradizionali del teatro, quali il melodramma e la farsa, A. Ayckbourn e D. Cregan. L’autrice che più ha segnato la scena teatrale britannica contemporanea è S. Kane, con il suo teatro dell’orrore, disperato e violento, in cui taluni hanno ravvisato richiami illustri al teatro senecano ed elisabettiano. Le due principali linee di ricerca dei drammaturghi britannici, una orientata alla ricostruzione realistico-ironica delle tematiche sociali, come già in J. Osborne e A. Wesker, l’altra a dominanza atemporale e metafisica come in S. Beckett e H. Pinter, sia pure attraverso trasformazioni di temi e forme, si mantengono reciprocamente in gioco.
Già prima della conquista normanna (per la produzione artistica e architettonica dal 5° sec. alla conquista normanna nel 1066 ➔ Anglosassoni), nell’abbazia di Westminster, ricostruita da Edoardo il Confessore, appaiono caratteri romanici. Cattedrali e chiese abbaziali (Canterbury, St. Albans, Ely, Lincoln, Exeter ecc.), edificate da vescovi e abati generalmente di origine normanna, si riallacciano alle forme d’oltre Manica, presentando varianti originali. Nella cattedrale di Durham (1093-1133) compare, per la prima volta in Europa, la volta costolonata. L’ordine cistercense, impiantato nell’isola dal 1128, introdusse gradatamente le forme gotiche, pienamente realizzate da Guglielmo di Sens nel coro della cattedrale di Canterbury. Il gotico inglese fu caratterizzato, nella prima fase, da un’accentuazione dell’orizzontale, da conclusioni rettilinee del corpo orientale, da volte decorativamente configurate (Wells, Lincoln, Salisbury ecc.); nella fase del gotico ornato (fine 13° sec. - metà 14°), dall’esuberanza decorativa delle superfici e dei trafori delle finestre (corpi orientali delle cattedrali di Wells e Bristol, ottagono della cattedrale di Ely); infine, nello stile perpendicolare, dall’accentuazione di verticali e orizzontali, da sostegni snelli, da serie di pannelli rettangolari con arco acuto inscritto nei trafori e sulle pareti, dall’introduzione delle volte a ventaglio: coro e chiostro della cattedrale di Gloucester, 1337-77; cattedrale di Sherborne, 1430; cappella del King’s College a Cambridge, 15°-16° sec.; cappella di S. Giorgio a Windsor, dal 1474; cappella di Enrico VII a Westminster, dal 1502; chiese parrocchiali di Bristol, Norwich, York, Coventry.
Prevalentemente legata all’architettura, la scultura sente, dopo la conquista normanna, l’ascendente delle correnti dell’Ile-de-France e della Borgogna (rilievi della cattedrale di Wells). Tipica espressione della scultura gotica inglese è la tecnica dell’alabastro intagliato, usata soprattutto nei monumenti funerari caratterizzati da accentuato realismo (tomba di Edoardo a Gloucester). Per la scultura funeraria sono usati anche il bronzo e altri metalli (tomba del Principe Nero nella cattedrale di Canterbury, 14° sec.).
La riforma e l’iconoclastia puritana provocarono la distruzione di gran parte della pittura monumentale: al 12° sec. risalgono i pochi resti degli affreschi di St. Botolph a Hardham e del più complesso ciclo di St. John Baptist a Clayton; gli affreschi delle cappelle di S. Gabriele e di S. Anselmo nella cattedrale di Canterbury, più elaborati, denunciano rapporti con la produzione continentale, come quelli della cappella del Santo Sepolcro della cattedrale di Winchester (13° sec.).
Nel campo delle vetrate dipinte rimangono notevoli testimonianze duecentesche a Canterbury, nella cattedrale di Lincoln, nell’abbazia di Westminster; notevoli, nel Trecento, le vetrate delle chiese di York, Glaucester, Tewkesbury; nel 15° sec. i centri maggiori di produzione sono Londra, con J. Pruddle, e York.
Numerose le testimonianze della miniatura, che trae grande incentivo nelle comunità monastiche dopo la conquista normanna. Ai persistenti motivi della tradizione insulare si legano apporti continentali e italo-bizantini dando vita, nel 12° sec., a capolavori quali il Salterio di St. Albans (Hildesheim, St. Godehard), la Bibbia di Bury Saint Edmunds (Cambridge, Corpus Christi College) e la Bibbia della cattedrale di Winchester, dove si coglie un caratteristico dinamismo della linea. Nel 13° sec. emergono le personalità di W. de Brailes e di M. Paris; ai codici sacri si affiancano testi profani quali i Bestiari (Cambridge, Fizwilliam Museum).
Al regno di Riccardo II (1377-99) sono legate due opere su tavola di grande valore: il ritratto del re nell’abbazia di Westminster e il cosiddetto dittico Wilton (Londra, National Gallery) che rivela interessanti connessioni con la miniatura boema. Il ricamo diventò un ramo caratteristico dell’artigianato inglese con l’adozione, alla fine del 13° sec., dell’opus anglicanum (cappa di Sion, Londra, Victoria and Albert Museum; piviali di Anagni, Bologna, Pienza).
La presenza di P. Torrigiani e di H. Holbein costituisce il primo contatto con le novità rinascimentali del continente. Dopo il distacco dalla Chiesa di Roma, la committenza laica determina il prevalere quasi esclusivo del ritratto in campo pittorico e, in campo architettonico, delle costruzioni civili, mentre la scultura rimane generalmente confinata a monumenti funerari, avvalendosi di artisti dei Paesi Bassi, rifugiati in Inghilterra per motivi religiosi; la personalità più significativa è N. Stone.
Accanto alla persistenza dello stile perpendicolare, elementi rinascimentali appaiono superficialmente applicati alla decorazione delle grandi residenze (Hampton Court). Una combinazione di elementi derivati dai lessici rinascimentali più disparati (Paesi Bassi, Italia, Francia) si fonde con il tradizionale linguaggio architettonico locale (Kirby Hall, Northants, 1570-75). La composizione degli spazi negli alzati e nelle piante delle tipiche country houses d’età elisabettiana o giacobita tradisce analoga disinvoltura nell’elaborare schemi tipologico-distributivi basati sulla ingegnosa combinazione di figure geometriche elementari. Una sorprendente continuità, in tal senso, è testimoniata dalla Old Somerset House (1547-52, demolita nel 1777), dalle quattro torri che caratterizzano Hardwick Hall (probabilmente di J. Smithson, 1590-97), dai Designs for houses di J. Thorpe (16° sec.), da Bramshill (Hants, 1605-12), Charlton House (Greenwich, 1607), Hatfield House (Herts, 1607-11), fini esempi di architettura giacobita.
La stessa ricerca di I. Jones sembra non tradire quella continutà compositiva, ribadita attraverso l’isolamento e l’utilizzazione di elementi desunti dal codice palladiano o dalla selettività analitica delle sue note-studio su Vitruvio e G.P. Lomazzo. Il rigorismo palladiano è estremizzato da Jones in una sorta di riduzione dell’architettura a meri rapporti quantitativi (Queen’s House; Queen’s Chapel; Banqueting House). Nella continua ricerca di linguaggi funzionali a una sempre migliore organizzazione e standardizzazione del lavoro di cantiere (gestito dalle corporazioni artigiane guidate da sovrintendenti spesso occupati nei Queen’s Works o King’s Works, quali R. Stickells, W. Spicer, T. Graves, J. Symonds, J. Thorpe o lo stesso Jones) si assiste all’importazione di partiti figurativi desunti dalla rivisitazione standardizzata dell’antico di trattati o manuali rinascimentali italiani o francesi.
In questa tendenza va inserita la ricerca di C. Wren, capace di rispondere, dopo il devastante incendio di Londra nel 1666, alla ricostruzione di oltre 50 chiese tra cui spicca, imponente, la St. Paul’s Cathedral. Il classicismo barocco di Wren raggiunge originali risultati quali Hampton Court o l’ospedale di Greenwich.
Le opere pittoriche eseguite per le grandi dimore del 16° e 17° sec., a eccezione della grande celebrazione della dinastia Tudor a Whitehall, di H. Holbein, di cui rimangono solo alcuni cartoni (Londra, National portrait gallery), e dell’Apoteosi di Giacomo I nella Banqueting Hall, di P.P. Rubens (1634), sono prevalentemente decorative. La scena artistica è dominata da personalità straniere per committenze quasi esclusivamente nel campo del ritratto: il fiammingo H. Eworth, a parte l’allegorico Ritratto di John Luttrell (Londra, Courtauld Institute), produce ritratti in stile esemplare del manierismo inglese, con cura minuziosa dei particolari relativi allo stato sociale del personaggio; una poetica eleganza promana dai ritratti-miniature dell’inglese N. Hilliard. Questo prezioso stile di corte permane durante il regno di Carlo I, mentre comincia a farsi strada una visione più naturalistica (I. Oliver) e un’illuminata politica di mecenatismo con la collezione di opere del Rinascimento italiano e l’invito a corte di artisti come A. Gentileschi, gli olandesi C. van Poelenburg, D. Mytens e J. Lievens, il tedesco H. Steenwick, ma soprattutto P.P. Rubens e A. van Dyck, che ebbe numerosi imitatori (R. Walker), mentre W. Dobson è l’unico inglese a emergere.
Carlo II porta in Inghilterra un riflesso del lusso sofisticato della corte francese dove ha trascorso il proprio esilio: la scena è dominata dall’olandese P. Lely e poi dal tedesco G. Kneller; tra gli inglesi, nella tradizione del ritratto miniaturistico emerge S. Cooper, F. Barlow è specialista di dipinti di uccelli e animali, mentre i van de Velde, al servizio di Carlo II, Giacomo II e Guglielmo III, danno l’avvio in Inghilterra alla pittura di paesaggio e al genere delle marine. Le grandi imprese decorative sono affidate ad artisti stranieri (A. Verrio, L. Laguerre) ma è un inglese, J. Thornhill, all’inizio del 17° sec., con la Painted Hall di Greenwich raggiungeva l’apice della decorazione barocca.
Nella seconda metà del 17° sec. anche la scultura accoglie suggestioni barocche con J. Bushnell e soprattutto E. Pierce, mentre cominciano ad apparire monumenti pubblici (monumento equestre di Carlo I di H. Le Sueur, in Trafalgar Square; Carlo II, di C.G. Cibber, in Soho Square; Giacomo II, di G. Gibbons, già a Whitehall poi davanti alla National Gallery).
Nel Settecento filosofi e letterati additano a modello gli esempi classici, mentre la nobiltà, come molti artisti, affina la propria istruzione compiendo il «grand tour» nel continente, riportando opere e suggestioni artistiche. Il panorama pittorico si amplia con il paesaggio (G. Lambert, S. Scott, Canaletto, F. Zuccarelli, R. Wilson), la scena di genere (A. Davis, J. Zoffany, W. Hogarth), l’animalistica (G. Stubbs). Brillante ritrattista, Wright of Derby va ricordato per i suoi interni rischiarati da luce artificiale. Per la pittura di soggetto storico si ricordano G. Hamilton e l’americano B. West, favorito di Giorgio III.
Su questo sfondo estremamente vivace emergono le tre più grandi personalità del secolo: W. Hogarth, J. Reynolds e T. Gainsborough. In conflitto con il gusto alla moda, Hogarth rivela nei suoi ritratti un’umanità e un realismo nuovi rispetto agli esponenti tradizionali (G. Knapton, T. Hudson) e nelle sue serie dedicate al matrimonio alla moda, alla carriera del libertino, ecc., dipinte e poi incise, inventa un nuovo genere, il soggetto morale moderno, commento in chiave ironica alla società contemporanea. I fermenti di una nuova vitalità, nella ritrattistica, apparsi già in A. Ramsay, raggiungono con J. Reynolds (primo presidente della Royal Academy, 1769-92) un livello altissimo nella complessa lettura del ritratto in chiave epica. T. Gainsborough giunge a una perfetta fusione tra ritratto e paesaggio.
Tra 18° e 19° sec., una personale recezione delle istanze neoclassiche è testimoniata dall’opera scultorea e disegnativa di J. Flaxman, mentre H. Füssli e W. Blake sono emblematici interpreti degli albori del Romanticismo in Inghilterra. Nel ritratto T. Lawrence e lo scozzese H. Raeburn sono le personalità più significative; il paesaggio trova nell’acquarello un efficace mezzo espressivo e interpreti quali A. e J.R. Cozens e T. Girtin; T. Rowlandson opera al limite della caricatura e della satira, campo nel quale eccelle J. Gillray.
Il gusto dei colti mecenati indirizza la produzione verso l’imitazione dell’antico mentre la presenza di artisti fiamminghi, come J.M. Rysbrack, P. Scheemakers e L. Delvaux, o francesi, come L.-F. Roubilac, ne evolve la polarità barocca.
Lo stile e la logica compositiva di C. Wren trovano, all’inizio del 18° sec., degni continuatori in due dei suoi migliori allievi, N. Hawksmoor e J. Wanbrugh. In particolare, nelle architetture di Hawksmoor quelle commistioni linguistiche raggiungono risultati originali nella ricomposta giustapposizione di elementi ripresi dal linguaggio classico (Christ Church, St. George-in-the-East, St. Mary Woolnoth, St. George, chiese di Londra alla cui costruzione egli sovrintende). Lo sperimentalismo compositivo, unitamente all’esigenza di soddisfare la crescente domanda di architettura classica arricchisce, nel corso del 18° sec., il suo già vasto repertorio di forme grazie anche alla enorme diffusione di manuali di architettura. Tavole con dettagli quali porte, finestre, camini, balaustrate, scalinate, se non interi progetti di country-houses, con relativi costi di realizzazione, completano quei manuali destinati al vasto pubblico di amateurs, così come all’eterogeneo mondo delle corporazioni artigiane attive, con pregevole autonomia, nel mercato edilizio inglese.
A questi stessi manuali s’ispirano le Georgian Houses, allineate sobriamente in schiere intorno ai numerosi Squares settecenteschi sorti nelle aree occidentali di Londra, resi famosi dalle caratteristiche forme circolari, ellittiche o quadrate con giardini nel centro. Parallelamente, si diffondono più lussuosi trattati orientati al recupero dell’architettura palladiana o dei principi compositivi di I. Jones. L’attività di lord Burlington, C. Campbell e W. Kent testimonia questa tendenza (Chiswick House, Holkham Hall). Orientamenti compositivi che trovano nello stile di J. Wood, R. e J. Adam o J. Soane individuali quanto significative elaborazioni. Uno stile pittoresco, unito al gusto per l’esotico e per il gotico, trova in J. Nash il suo interprete più originale.
Mentre si estendono nelle città i grandi quartieri residenziali, la rivoluzione industriale porta al proliferare degli slums ma anche a precoci esempi di pianificazione (Barrow, New Lanark di Owen, ecc.).
Accanto al grande sviluppo della casa privata e all’eclettismo degli stili storici, di cui principale portavoce è C. Barry, si affermano nuovi metodi costruttivi con l’uso dei materiali creati dalla rivoluzione industriale (ferro, acciaio, vetro) in opere che, tuttavia, rimangono confinate al campo dell’ingegneria: ponti (T. Telford e I.K. Brunel), serre e padiglioni di esposizione (J. Paxton, D. Burton), stazioni ferroviarie.
Nel 1888 viene promulgata la legge sul miglioramento delle case operaie, alle quali tuttavia solo sullo scorcio del secolo comincia ad applicarsi il principio della città-giardino di E. Howard.
È nel paesaggio che la pittura inglese dell’Ottocento si afferma con una visione indipendente, imponendosi come fondamentale riferimento per le esperienze europee. Se nei pittori della scuola di Norwich (J. Crome, J.S. Cotman) lo studio dal vero raggiunge una liricità nel tono luminoso e nella semplificazione formale, J. Constable studia la resa luminosa del paesaggio inglese con libertà tecnica e compositiva e J.M.W. Turner coglie gli effetti di luce in una visione audace e drammatica.
A parte il poetico realismo di un gruppo di pittori che risentono di W. Blake (S. Palmer) e il naturalismo meticoloso di W. Dyce e ossessivo di R. Dadd, il panorama ottocentesco inglese è modulato, seppure in tono minore, da altre esperienze che rispecchiano l’epoca vittoriana. La scena di genere, di ascendenza olandese, di D. Wilkie, ispira l’opera di W. Mulready e W. Collins; E.H. Landseer trasfonde la moralità vittoriana in opere che raffigurano animali; accanto al gusto della pittura di storia di tono minore e aneddotica aumenta quello per i soggetti medievali e tratti dalle opere letterarie.
Nel 1848 D.G. Rossetti, W.H. Hunt, J.E. Millais fondano la confraternita dei preraffaelliti; interessi diversi muovono i membri di questo movimento a sfondo letterario e su basi di un misticismo estetico, e al suo margine operano le personalità più rilevanti di F.M. Brown e di E.C. Burne-Jones. La ricerca di un nuovo rapporto tra arte e società emerge dalle teorie di J. Ruskin, che appoggia i preraffaelliti, e di W. Morris; esse, reagendo all’estetismo storicistico e decorativo, hanno un notevole peso nell’architettura e nell’artigianato, con le iniziative di A. Mackmurdo, W. Crane, C.R. Ashbee, di R. Mackintosh con i Quattro di Glasgow, ma sancirono un netto contrasto con il mondo industriale.
Gli ultimi decenni del secolo, che con il New English art club (1885) vedono un altro attacco ai valori accademici, sono segnati dalla grande personalità di J.M. Whistler, promotore dell’impressionismo inglese, sostenitore dell’arte per l’arte con forti caratterizzazioni simboliste, che segnano anche la straordinaria produzione grafica di A. Beardsley.
All’inizio del secolo la G. è all’avanguardia nel campo dell’architettura residenziale (Voysey e Lutyens) e dell’urbanistica (città-giardino di Letchworth, 1903; Welwyn, 1919-20). Nel corso degli anni 1930 E.M. Fry, i gruppi MARS e Tecton portano un significativo contributo al movimento moderno, stimolati anche per la presenza in G. di W. Gropius, M. Breuer, E. Mendelsohn.
In campo pittorico, il primo decennio del secolo è ancora dominato da artisti, come W. Steer e W. Sickert, che conciliano la tradizione inglese con esperienze francesi e, in particolare in A. John e M. Smith, con riferimenti al linguaggio fauve; emergono le forti personalità dei critici R.E. Fry, che nel 1910 organizzò un’importante mostra di pittura postimpressionista, e C. Bell, che condizionarono con la loro estetica della «forma pura» il gusto per decenni. Nella scultura, J. Epstein è la personalità più significativa; W. Lewis fonda il vorticismo, mentre il pittore S. Spenser elabora una personale e incisiva forma di realismo. Tra le due guerre, il gusto inglese della concretezza delle cose è sotteso nell’opera di artisti come P. Nash e B. Nicholson con esiti opposti, d’intensità surreale nell’uno, di costruttivismo nell’altro; entrambi fecero parte, con gli scultori H. Moore e B. Hepworth, dell’associazione Unit One.
Nel 1936, per opera di alcuni membri di Unit One e dei critici H. Read e R. Penrose, è organizzata a Londra la grande mostra internazionale surrealista che ebbe forte impatto (E. Wadsworth, T. Hillier) anche su artisti quali H. Moore, G. Sutherland, S.W. Hayter, F. Bacon, le personalità più incisive del secondo dopoguerra. Portavoce di un ritorno alla tradizione, sotto una spinta di realismo sociale, è il gruppo di Euston Road (1937-39) con W. Coldstream, G. Bell e V. Pasmore, che sarà uno dei più significativi esponenti della corrente astratta. L’angoscia esistenziale che permea i dipinti di Bacon si esprime con uno spietato e introspettivo realismo in L. Freud.
Una preoccupazione sociale è sottesa, agli inizi degli anni 1950, alla ricerca del gruppo Kitchen Sinks (J. Bratby, D. Greaves, E. Middleditch), mentre percorrono esperienze non figurative W. Scott, P. Lanyon, C. Richards, S. Blow, R. Moynihan; il filone dell’astrattismo geometrico tende a superare il campo della pittura pura per creare opere nello spazio (K. e M. Martin, H. Hill), a coinvolgere il movimento (B. Riley).
Dalla metà degli anni 1950 emerge una tendenza di ricerca incentrata sulla cultura popolare e sui mass-media: la prima fase della pop art britannica è rappresentata dall’Independent Group, costituitosi nel 1955-56 (E. Paolozzi, R. Hamilton, W. Turnbull ecc.), mentre una seconda fase, intorno al 1960, si caratterizza per l’abbandono dell’elemento sociologico a favore di un più libero gioco della percezione (P. Blake, P. Caulfield, R. Tilson, R.B. Kitaj, A. Johns, D. Hockney).
Dagli anni 1960 operano, nell’ambito dell’arte concettuale, il gruppo Art and language (T. Atkinson, D. Brainbridge ecc.), Gilbert and George, M. Boyle, R. Long, T. Head, M.C. Chaimovicz. Si devono ricordare anche, nel campo delle ricerche della poesia concreto-visiva, le rilevanti personalità di Dom S. Houédard, I.H. Finley, J. Furnival. Nella scultura, accanto a Moore e B. Hepworth, che con estrema vitalità continuano a operare, s’impongono R. Butler, L. Chadwick, K. Armitage e, con una più marcata esigenza di nuove definizioni spaziali, A. Caro. Significativa l’opera di P. King, segnata da raffinate qualità formali, di equilibrio, ritmo e colore, e di B. Flanagan, dall’inesauribile inventiva.
Negli anni 1980, accanto a un perdurare di ricerche inseribili nell’ambito concettuale (S. Patterson, H. Heard, T. Cragg), in G., come del resto nella scena artistica internazionale, si assiste a un ritorno alla pittura nei modi più convenzionali, in una linea di figuratività individuata come caratteristica nazionale e che vede, oltre che in Bacon e Freud, in L. Kossof, in F. Auerbach e in M. Andrew, i suoi punti di riferimento (I. Mackeever, J. Vertue, E. Cooper). Dalla metà dedel decennio la scena artistica si arricchisce di presenze femminili con E. Cooper e A. Faulkner, che con colori violenti e un primitivismo espressionista pongono l’accento sulle relazioni umane da un punto di vista prettamente femminile; con la portoghese P. Rego che, dopo gli iniziali collage, affronta con icastica ironia tematiche politiche e sociali. Una pittura che affonda le sue radici nel realismo di denuncia e d’impegno sociale caratterizza anche l’opera di J. Kean e degli scozzesi S. Campbell, P. Owson, K. Currie.
Anche la scultura rivela, nei due poli astratto e concettuale, vitalità e alto livello qualitativo. Il Premio Turner, patrocinato dalla Tate Gallery, può essere considerato, sin dalla fondazione (1984), tra i sensori più qualificati della ricerca artistica in G.: dopo aver laureato pittori come M. Morley e H. Hodgkin, ha messo in evidenza l’opera di Gilbert and George, R. Deacon, T. Cragg, A. Kapoor, R. Long; R. Whiteread; A. Gormley; D. Hirst. L’installazione mantiene un posto rilevante come mezzo espressivo nella produzione artistica di B. Woodrow, M. Nelson, C. Borland, L. Gillick. La fotografia, il video, l’immagine computerizzata e il mezzo filmico trovano riscontro nell’opera di D. Gordon, G. Wearing, S. McQueen, W. Tillmans, H. Cadwich, A. Goldsworthy, M. Wallinger, I. Julian, G. Starr, R. Buchanan, T. Dean, R. Billingham.
Nel secondo dopoguerra la G. è all’avanguardia soprattutto in campo urbanistico. La realizzazione delle new towns dà, tuttavia, adito a critiche e delusioni e un’alternativa è ricercata con il Town Development Act (1952), che prevede lo svi;luppo di centri minori già esistenti. Alle new towns si affiancano le new cities, delle quali Milton Keynes (1970-76) costituisce l’esempio più impegnativo. Esemplare la progettazione dell’edilizia scolastica e universitaria: in questo campo si cimentano A. e P. Smithson, J.L. Martin, D. Lasdun e J. Stirling, gli architetti più significativi del dopoguerra, insieme al più giovane N. Foster, che con R. Rogers è valido esponente dell’indirizzo legato all’alta tecnologia. Per l’edilizia residenziale esemplari le proposte di Roehampton a Londra, di Park Hill e Hyde Park a Sheffield, il quartiere Byker a Newcastle-upon-Tyne (R. Erskine, 1969-82). Incisiva con le sue tesi avveniristiche, negli anni 1960, è stata l’attività del gruppo Archigram.
Il panorama architettonico inglese degli anni 1970 e 1980 mostra svariate esperienze che vanno dall’alta tecnologia al recupero di un linguaggio vernacolare, alla ricerca di uno storicismo classicista (centro polifunzionale Sainsbury a Londra, 1990, di N. Grimshaw; Howard Building, Downing College di Cambridge, 1988, dello studio Erith and Perry). Dagli anni 1990, oltre al perdurare del high tech, si registrano tendenze neorazionaliste e decostruttiviste (D. Chipperfield, Alsop & Stormer, Future Systems, Z. Hadid ecc.).
Le prime notizie relative all’attività musicale in Inghilterra risalgono al 6° sec., con l’introduzione del canto liturgico romano. Nell’11° sec. apparvero i primi esempi di notazione dei canti a due voci, raccolti nel Tropario di Winchester. All’inizio del 15° sec. la scuola fiamminga, nata e sviluppatasi soprattutto sul continente, ebbe un esponente inglese in J. Dunstable (1380 ca.-1453).
Periodo particolarmente felice fu quello tra il 16° e il 17° sec., grazie a compositori come W. Byrd, rappresentante dell’epoca elisabettiana, il clavicembalista J. Bull, i madrigalisti O. Gibbons e T. Morley. Bull, Byrd e Gibbons eccelsero anche nella musica strumentale per virginale, dando notevole impulso all’arte della variazione. La stessa epoca vide la nascita del masque, intrattenimento di soggetto pastorale, allegorico o mitologico.
Alla fine del 17° sec. emerse la figura di H. Purcell, il più importante compositore inglese, che eccelse in tutti i generi della musica del suo tempo e che nelle opere teatrali seppe creare scene di singolare bellezza musicale e di notevole intensità drammatica.
Nel 18° sec. furono fondate alcune istituzioni musicali con il proposito di preservare le tradizioni nazionali dagli influssi stranieri, ma la musica inglese di questo secolo fu influenzata da quella italiana e dalla musica di G.F. Händel, che visse e operò in G. per oltre 40 anni. Altri musicisti stranieri che ebbero una posizione dominante a Londra a partire dalla seconda metà del Settecento furono J.C. Bach, F.J. Haydn e soprattutto M. Clementi che nella capitale inglese svolse la sua attività fino al 1832.
Nel 19° sec., che nel complesso vide proseguire l’influsso della musica continentale, figure di rilievo furono l’irlandese J. Field, iniziatore del genere del Notturno per pianoforte, e A. Sullivan, le cui operette, scritte in collaborazione con il librettista W.S. Gilbert, ebbero uno strepitoso successo. La prima ripresa della scuola inglese fu dovuta soprattutto alla vigorosa azione didattica di C.H.H. Parry (1848-1918) e dell’irlandese C.V. Stanford (1852-1924), maestri della maggior parte dei musicisti della generazione successiva.
L’assimilazione della musica popolare britannica assurse a grande importanza con i compositori del primo Novecento, tra i quali R. Vaughan-Williams, F. Delius e G. Holst. Felice anche l’attività della scuola contemporanea rappresentata da numerosi compositori tra cui J. Holbrooke (1878-1958), A. Bax (1883-1953), sir A. Bliss (1891-1975) e soprattutto da B. Britten, largamente ammirato ed eseguito anche fuori dai confini nazionali britannici. Tra i musicisti di fama più recente si segnalano M. Tippett, P. Maxwell Davies e B. Ferneyhough (n. 1943), votati alla ricerca di un linguaggio accessibile e semplice, seppur attuale. Interessanti personalità sono anche quelle di C. Cardew (1936-1981), negli anni 1960 fervente emulo di J. Cage e K. Stockhausen, e di B. Eno, proveniente dalla musica pop. Altri compositori hanno preferito formule maggiormente accessibili al pubblico, come quella di J. Taverner (n. 1944), segnata da un certo misticismo visionario e capace di accogliere al tempo stesso esperienze d’avanguardia e forme tradizionali della musica religiosa.
A partire dagli anni 1960, da quando cioè esplose il fenomeno musicale dei Beatles, la più influente rock band della storia, seguita a ruota da un gran numero di altre formazioni di enorme successo e importanza, la G. è divenuta il cuore della musica pop. Nessun altro paese al mondo, Stati Uniti compresi, ha prodotto nel corso dei decenni una così notevole quantità di artisti, imponendo nuove mode e tendenze nel campo della musica leggera.